Il "piano B" della May: trattato con Dublino. Torna il ciclone Farage con un nuovo partito

"Pronto il Brexit Party", mentre il Parlamento lavora per fermare l'uscita

Il "piano B" della May: trattato con Dublino. Torna il ciclone Farage con un nuovo partito

In Parlamento si sta lavorando per bypassare la premier e formare una maggioranza che scongiuri l'uscita dalla Ue senza intesa - il no deal - e provi a rinviare, se non addirittura a fermare la Brexit prevista per il 29 marzo 2019, sospendendo o rimandando l'articolo 50 che regolamenta il divorzio. Fuori da Westminster, lievita il partito trasversale del secondo referendum. E dalle nebbie della Brexit rispunta il padre morale dell'addio, Nigel Farage, che annuncia di essere pronto a ricandidarsi alle Europee se la rottura non ci sarà. Farage chiede un voto bis e si propone leader di un nuovo partito il cui nome è già stato sottoposto alla Commissione elettorale dall'ex collega dell'Ukip Catherine Blaiklock e suona inequivocabile: «The Brexit Party».

È in questo Vietnam politico che, come un criceto instancabile che gira sulla sua ruota, finora a vuoto, Theresa May presenta oggi il «piano B» per la Brexit, che verrà dibattuto e votato ai Comuni il 29 gennaio. Studiato in un weekend di trattative giunte dopo la clamorosa bocciatura del «piano A» da parte di Westminster, e dopo che la premier ha superato indenne la mozione di sfiducia presentata dall'opposizione, il piano punta a ottenere i voti del Dup e dei Tory favorevoli a una hard Brexit, con lo scopo di strappare in Aula quella stessa maggioranza che sostiene il governo e ha salvato Theresa May. Per uscire dal pantano, la premier annuncerà di voler proporre all'Irlanda, che resta il problema irrisolto della Brexit, un trattato bilaterale. L'accordo con Dublino risolverebbe il problema del ritorno della frontiera tra le due parti dell'isola ed eviterebbe l'odiato backstop, la clausola che i duri della Brexit non digeriscono perché non vogliono il Regno Unito nell'unione doganale a tempo indefinito e che gli unionisti nord-irlandesi del Dup non amano perché non vogliono vedere le proprie sorti separate dal resto del Paese. Nel frattempo, a dimostrare che il tic tac dell'orologio è pressante e le tensioni in Irlanda potrebbero riesplodere, è arrivata la notizia che nella notte fra sabato e domenica un'autobomba è esplosa a Londonderry, nel Nord dell'isola, teatro del Bloody Sunday e culla dei Troubles, dove ebbero inizio le violenze tra unionisti protestanti e indipendentisti cattolici dell'Ira.

Ma a rovinare i piani e i buoni propositi di Lady May, manco a dirlo, potrebbe essere la spallata di un gruppo di deputati che intende passare sopra la sua testa e quella del governo, pur di scongiurare il no deal, è pronto a votare una serie di emendamenti per far slittare la Brexit. Ipotesi che May ha definito «estremamente preoccupante». Il rischio - avvertono alcuni ministri Tory - è che si possa davvero arrivare a elezioni anticipate il 28 febbraio. Una prospettiva a cui punta il capo del Labour Jeremy Corbyn, unico leader che si è rifiutato di dialogare con la premier («Il governo deve prima escludere il no deal», ha detto), accusato per questo di anteporre gli interessi del partito a quelli della nazione. «È pronto ad aprire il dialogo con Hamas, Hezbollah, Assad e l'Iran. Ma non è pronto a parlare con il primo ministro inglese. Perché?», ha chiesto il laburista Mike Gapes mentre molti ricordavano la partecipazione di Corbyn a eventi pubblici in cui chiamava «amici» i leader di Hamas e Hezbollah.

Anche i laburisti vivono il loro Vietnam.

E c'è chi minaccia la scissione se il leader non sosterrà peinamente il secondo referendum. Nel frattempo, Farage soffia sul collo: «Se il governo tradirà milioni di persone, serve un partito pronto a combattere per Brexit».

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