«È un'ottima notizia, sicuramente una delle più interessanti degli ultimi due-tre anni». Roberto Orecchia, direttore scientifico dell'Istituto europeo oncologico, accoglie la nuova terapia cellulare contro i tumori con lo stesso ottimismo del suo predecessore Umberto Veronesi. Cauto ma realistico.
Stavolta non si tratta solo di un annuncio «teorico».
«Stiamo parlando di una terapia che va oltre la ricerca ma è già arrivata alla fase di applicazione sui pazienti. Qualche mese fa è stata usata al Bambin Gesù di Roma per cercare di curare un bambino affetto da una leucemia acuta e refrattario alla chemio».
Tuttavia non significa che abbandoneremo la chemioterapia?
«Quella, al momento, resta la cura ufficiale. So che è una parola che mette i brividi ed ha un retaggio negativo ma consideriamo che la chemio non è più aggressiva come vent'anni fa. Oggi è più mirata ed efficace. Detto questo, confidiamo tutti nella nuova terapia genetica anche se al momento si tratta di un metodo da utilizzare in seconda battuta, cioè quando la chemio non fa effetto».
Ci spiega di cosa si tratta?
«È un nuovo metodo, simile a quello del trapianto di midollo. Dal paziente vengono estratte le cellule T. Queste vengono portate in laboratorio, modificate geneticamente e ingegnerizzate. Al loro interno viene inserito un gene (Car) che le addestra a riconoscere il tumore. Le cellule vengono iniettate nuovamente nel paziente. A questo punto si innesca un meccanismo di auto-cura».
Contro quali tumori può essere efficace il metodo?
«Ad oggi per la leucemia linfoblastica acuta a cellule B e il linfoma diffuso a grandi cellule B. In futuro potrebbe essere applicata contro le cellule tumorali che circolano nel corpo attraverso il sangue, quindi contro tumore al seno o al polmone. Ci si aspettano risultati anche contro le malattie cardiovascolari, degenerative e neurologiche».
Le prossime sfide?
«Applicare la terapia anche ai tumori solidi. E poi rendere accessibile la cura».
Al momento come si può accedere alla cura?
«Bisogna completare gli iter burocratici. Dopo di che è bene che la terapia venga effettuata solo nei centri specializzati, come ad esempio quelli dei trapianti di midollo, per poter far fronte agli effetti collaterali, che possono essere anche molto gravi, e garantire la massima riuscita del trattamento».
Allo Ieo siete pronti?
«Sì, e abbiamo anche approvato un progetto per realizzare il farmaco in un nostro laboratorio interno in modo da abbattere i costi. Si tratta di un grosso sforzo economico ma è un investimento su un settore che di sicuro nei prossimi anni avrà una forte espansione».
Quindi la strada è quella dei «farmaci viventi»?
«Sì, ma oltre al cosiddetto drug living, che vive dopo essere stato somministrato, ci aspettiamo novità in generale nel campo immunologico e dell'ingegneria genetica».
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