Afghanistan in fiamme

Il qaedista, il reduce e la guida spirituale. Ecco i tagliagole al governo di Kabul

C'è il teologo del martirio che ha offerto il figlio a un attacco suicida, il comandante di un gruppo terrorista e il figlio del mullah Omar. Che guideranno da lontano un esecutivo farsa

Il qaedista, il reduce e la guida spirituale. Ecco i tagliagole al governo di Kabul

I nuovi, veri padroni dell'Afghanistan potrebbero anche non mettere piede a Kabul. E accontentarsi di governare da dietro le quinte di un gabinetto, apparentemente inclusivo, i cui esponenti saranno, in realtà, semplici marionette. L'ambigua prospettiva sta prendendo corpo in queste ore. A confermarla contribuiscono le voci secondo cui Amir Khan Muttaqi, ex-ministro dell'educazione nel primo emirato talebano è nella capitale per trattare con l'ex-presidente filo-americano Hamid Karzai e Abdullah Abdullah , già presidente di quel Consiglio per il Dialogo incaricato, fino a domenica scorsa, dei colloqui con gli insorti. E alle discussioni parteciperebbe da remoto anche Zalmay Khalilzad, l'enigmatico inviato americano di origini afghane, già ambasciatore a Kabul e Baghdad, che ha trattato per conto di Trump e di Biden il ritiro americano. Ma quel che ne uscirà non sarà certo un vero governo.

E, come già avvertono i leader talebani, non si ispirerà ai precetti della democrazia, ma a quelli della legge islamica. Sarà dunque una finzione istituzionale utile sia al potere talebano, sia all'amministrazione Biden. I primi potranno esibirla per sostenere di esser cambiati e ambire a riconoscimenti e aiuti internazionali. Biden potrà invece usarla per dribblare le accuse di fallimento e difendere un ritiro che ha permesso la nascita di un esecutivo di compromesso. Ma la verità sarà ben diversa.

Per capirlo basta esaminare i vertici del potere talebano. Il 61enne emiro Hibatulla Akhunzada nominato comandante supremo nel 2016 con il titolo, ereditato dal Mullah Omar, di «comandante dei fedeli», probabilmente continuerà ad indirizzare dall'ombra le scelte del movimento. Esponente della magistratura islamica nel primo emirato è non solo il leader politico- spirituale del movimento, ma anche il più entusiasta sostenitore del martirio religioso. Non a caso ha sostenuto la scelta del figlio 23enne Abdul Rahman offertosi, nel 2017, come volontario per un attentato suicida nella provincia di Helmand. A rendere ancora più impenetrabile la nebulosa del potere talebano s'aggiunge la figura del Mullah Muhammad Yaqoob, figlio del Mullah Omar. Se del padre circolava un'antica e sfocata immagine in bianco e nero di lui non esiste neppure quella. Nessuno, al di fuori di una ristretta cerchia di comandanti, può dire d'averlo mai incontrato. Eppure il poco più che trentenne, Yaqoob è oggi il vero comandante militare del movimento.

Altrettanto inquietante è la figura del 48enne Sirajuddin Haqqani indicato come il braccio destro di Akhundzada. Figlio di un leggendario leader dei mujaheddin antisovietici il 48enne Sirajuddin guida una formazione terrorista parallela al movimento talebano che rappresenta la vera interconnessione con Al Qaida. E comanda una rete di alleanze tribali con cui controlla scuole religiose e centri commerciali a cavallo di quella frontiera pakistana dove mantiene stretti contatti con i servizi segreti di Islamabad. In questa inquietante galleria di fantasmi la figura più conosciuta resta quella di un Mullah Abdul Ghani Baradar su cui tutti scommettono come futuro presidente dell'Afghanistan. Amico d'infanzia del Mullah Omar, che lo chiamava con il soprannome di Baradar (fratello), il mullah Abdul Ghani è stato uno dei fondatori del movimento per poi diventare governatore della provincia di Herat e vice ministro della difesa nel primo Emirato. Più ambiguo il suo ruolo dopo il 2001 quando - pur partecipando alla shura di Quetta ovvero all'organo decisionale del nuovo movimento talebano - è anche protagonista, dopo il 2006, di una serie di negoziati segreti con l'ex presidente Karzai. Proprio questi negoziati, malvisti dall'ala più dura del movimento, avrebbero spinto - nel 2009 - i servizi segreti pakistani ad arrestarlo. Liberato su richiesta degli americani nel 2018 è diventato l'interlocutore fisso di Khalilzad in quei colloqui di Doha al termine dei quali ha avuto persino un colloquio telefonico con Trump.

I suoi trascorsi negoziali lo rendono il candidato perfetto per la presidenza di un governo di coalizione in cui gli esponenti dei passati governi, come Karzai e Abdullah, rappresenteranno la foglia di fico del nuovo emirato.

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