Il Pd rattoppa le sue ferite interne grazie ad un nuovo compromesso, le opposizioni litigano ferocemente tra loro su come fare opposizione, la riforma del Senato marcia spedita in aula ma la maggioranza si ritrova più volte sull'orlo del burrone. E in un voto particolarmente a rischio viene rinsaldata dall'apporto di Forza Italia.
È la sintesi di una giornata confusa e convulsa, che però vede il governo incassare il via libera a nuovi articoli cruciali del ddl Boschi, avvicinandosi sempre più al traguardo. I momenti di ansia però non sono mancati: in mattinata, a voto segreto, i voti della maggioranza sono bruscamente calati, 143 a 130 con uno scarto di appena 17 voti su un emendamento. Un risultato che è stato letto come un chiaro segnale da parte della fronda Pd per costringere il governo alla trattativa sulle questioni ancora aperte, ossia le norme per l'elezione del capo dello Stato e la disposizione transitoria che dovrà regolare il metodo di elezione dei futuri senatori da parte dei Consigli regionali. Il tutto al coperto dello scrutinio segreto, perché poi al primo scrutinio palese sugli articoli, i prodi franchi tiratori della minoranza Pd sono tornati a votare disciplinatamente e i numeri della maggioranza sono risaliti intorno a quota 170.
Poco dopo è stato messo ai voti un emendamento «pacifista» della sinistra Pd all'articolo 17, quello che disciplina la dichiarazione dello stato di guerra, e la maggioranza ha rischiato di non farcela a bocciarlo. Il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani ha però annunciato il voto contrario del proprio gruppo, «per ragioni esclusivamente di merito», ha spiegato, visto che l'emendamento avrebbe inserito un «eccessivo irrigidimento alla procedura di attivazione dello stato di guerra». L'aula ha bocciato l'emendamento con 165 no contro 100 sì, e 8 astenuti. I 28 voti arrivati da Fi insomma non sono stati decisivi (senza sarebbe finita a 139 contro 134), ma nelle opposizioni è subito scoppiata la bufera, con Lega e Cinque Stelle sulle barricate ad accusare Forza Italia di aver «salvato» il governo e di aver dato vita ad un «Nazareno 2».
Il fronte comune delle minoranze, che in mattinata minacciava di salire in massa al Quirinale per chiedere a Mattarella di intervenire contro le «forzature» di Renzi e del presidente del Senato, insomma, si è rotto in mille pezzi, e ognuno ha deciso di andare per conto proprio: la Lega abbandona l'aula al grido di «è una truffa» e annuncia che «non parliamo più con Forza Italia» e che oggi sarà in piazza a manifestare contro Grasso; Sel ritira tutti gli emendamenti perché «la maggioranza non vuol comprendere le nostre ragioni»; i Cinque Stelle invece restano in aula ma dicono che non voteranno più e chiedono udienza al Quirinale per denunciare il proprio «sgomento». Anche Forza Italia scrive a Mattarella, per spiegare che la maggioranza è stata sorda alle richieste di modifica.
Una cacofonia totale, che consente al partito del premier di cantare vittoria, con il capogruppo Zanda che esalta la «solidità» della maggioranza.
Nel frattempo il Pd si ricompatta, la fronda interna ritira tutti i suoi emendamenti e in cambio il governo rinuncia a modificare la surreale norma (imposta dalla minoranza Pd alla Camera) che
fissa ai tre quinti degli aventi diritto il quorum per eleggere il capo dello Stato. Tanto che da Ncd Quagliariello e Augello annunciano il proprio voto in dissenso. Oggi si ricomincia, marciando spediti verso il voto finale.
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