Sì euro, no euro, mai fuori dall'Europa, via dall'Europa. Non è chiarissima la linea della Lega sull'Italexit, la versione italiana della Brexit. D'altronde Salvini ancora qualche tempo fa girava l'Italia con le magliette «Basta-uro», ha fatto eleggere in Parlamento due convinti antieuro come Bagnai e Borghi (quest'ultimo, messo alla presidenza della commissione Bilancio della Camera), e ogni tanto ripesca l'argomento, com'è successo ieri. «O in Europa cambiano le regole o è inutile stare in una gabbia in cui ti strangolano. Gli inglesi hanno fatto la loro scelta, noi stiamo cercando di cambiare le regole, ma pare che testardamente a Bruxelles nessuno voglia cambiarle, poi i popoli scelgono. Tu chiedi una volta, due, tre volte, se devi chiedere per la quindicesima volta quello che è il tuo diritto, se uno ti dice no e ti prende a pernacchie, poi il popolo fa le sue scelte». Poi, a domanda diretta, Salvini svicola un po': «Italexit? In questo momento stiamo lavorando per il Conte-exit, che è l'emergenza per il Paese».
È singolare la tempistica di questo improvviso ritorno al tema dell'uscita dall'Ue, nel bel mezzo della strategia comunicativa per riposizionare la Lega da partito sovranista antieuropeo a forza responsabile, critica ma fedele all'Europa e all'euro, accreditata presso i poteri internazionali. Appunto l'immagine che ha voluto trasmettere il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, soltanto il giorno prima, con una intervista in giacca e cravatta al Corriere della sera. «Noi non vogliamo uscire» né dall'Ue né dall'euro, e poi «voglio che l'Europa ci conosca per quello che siamo e non per le etichette che ci affibbiano, un partito di governo da vent'anni, non una banda di fascisti come stancamente e stupidamente ripete la sinistra» ha detto Giorgetti. Il quale è stato nominato da Salvini responsabile esteri della Lega proprio per mandare un messaggio rassicurante all'establishment italiano e internazionale sulla nuova faccia del partito, a partire dall'abbandono delle tesi antieuro, cosa ribadita peraltro dallo stesso leader l'altro giorno in una conferenza stampa nella sala stampa estera: «Certamente con la Lega al governo non si esce dall'Euro o dall'Unione».
E quindi? Qual è il gioco? Lo schema è quello del poliziotto buono e quello cattivo. Giorgetti rassicura l'elettorato cittadino (quello dove la Lega va meno bene), l'imprenditore terrorizzato da un ritorno alla lira, la fascia più moderata del consenso leghista. D'altra parte Salvini non vuole perdere la base più dura, quella che si eccita quando il capo tuona contro Bruxelles, Macron e la Merkel, e sogna una Brexit all'italiana. Un imborghesimento eccessivo della Lega rischia di regalare questa fetta di elettori ad altri. Leggi la Meloni, sempre più in crescita in uno spazio elettorale che è in parte sovrapponibile a quello della Lega. Di qui la convivenza (ambigua) tra antieuropeismo e responsabilità, tra minacce di sfracelli e inviti a Mario Draghi (l'uomo più lontano dallo spirito antieuro) a salvare l'Italia. L'antieuro Borghi infatti ridimensiona la linea Giorgetti: «Il suo pragmatismo non è una soluzione, i programmi si decidono nei congressi».
Sulla partita delle regionali, invece, Salvini tira dritto sulla
richiesta di rivedere i candidati concordati mesi fa con gli alleati. Il leader leghista vuole tre civici, e uno di questi in quota leghista, in una regione del Sud. Sarà l'oggetto del prossimo summit con Berlusconi e Meloni.
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