Coronavirus

Ue, 170 milioni in quarantena. Ci salveremo grazie al Doge

L'isolamento venne deciso per la prima volta a Venezia nel 1448. L'Italia faceva scuola anche nei secoli passati

Ue, 170 milioni in quarantena. Ci salveremo grazie al Doge

Il bilancio per primi l'hanno fatto i giornali inglesi, forse anche per fare il confronto con i piani diversi del loro governo. A partire dal Times hanno preso atto che 170 milioni di persone in Europa sono «Lockdown», forzatamente isolate a causa della pandemia di Covid-19. E probabilmente i numeri aumenteranno ancora.

È un fatto inedito, un isolamento del genere, nella storia dell'umanità. Per numeri e modalità. Certo esistono dei precedenti, ma sono tutti precedenti alla lontana. Il primo potrebbe trovarsi addirittura in un libro della Bibbia: il Levitico. Viene prescritto che il sacerdote isoli dagli altri i presunti malati di lebbra, per sette giorni dopo cui valutare le loro piaghe e poi decida. L'isolamento poteva poi essere allungato sino a quattordici. Un numero che ci è diventato tristemente familiare. Tolti gli esempi così antichi, che il modo migliore di bloccare un contagio sia isolare è un'idea in senso lato italiana, in senso stretto veneta. È figlia della peste nera che squassò gli equilibri demografici dell'Europa medioevale.

L'idea a quanto sembra venne per la prima volta agli abitanti di Ragusa, oggi Dubrovnik. Nel 1377, resisi conto che la peste poteva arrivare attraverso le navi che approdavano in città (tappa obbligata delle merci in arrivo da Oriente) gli abitanti tenevano le navi in arrivo e i loro equipaggi per trenta giorni in un luogo separato dalla popolazione. I giorni poi vennero portati a quaranta da una decisione del Senato di Venezia, nel 1448. Fu così che nacque l'espressione che usiamo ancora oggi, originariamente nella forma veneta «quarantina». Dei meccanismi di diffusione della malattia (i vettori della peste erano le pulci) i medici avevano capito ancora ben poco, però il governo della Serenissima intuì che tenendo lontano gli equipaggi e le merci (piene di topi e di pulci) si abbatteva il rischio di diffusione, del resto già nel 1347 aveva istituito tre tutori della salute pubblica. Questo esempio venne seguito ovunque, con esiti variabili nel corso del tempo.

Milano, colpita da tremende pestilenze (come nel 1630) organizzò un «registro dei morti». Le diagnosi erano molto discutibili, ma quello che contava era la sigla S.p.s. Stava per sine pestis suspicione. E finché c'era quella, tutti, tranne magari i parenti del de cuius, potevano dormire sonni tranquilli. Se no isolamento ed allarme. Non era l'attuale tampone ma la cosa più simile di cui potessero disporre all'epoca. E la pace di Passarowitz, del 1718, allontanò sempre di più la peste dal Vecchio Continente. Gli occhiuti funzionari austriaci misero le mani sui Balcani dopo la sconfitta dei turchi e i loro controlli su merci e persone che arrivavano da Oriente erano inflessibili. Perché quando l'unica soluzione disponibile è l'isolamento degli infetti, tutto dipende da quanto si è bravi a tenere sotto controllo un territorio. Da quanto si sorveglia un confine. E, diciamolo, da quanto è rapido nel contagiare (morbilità) un virus o un batterio. Una lezione fondamentale ma forse ancora più difficile da applicare al giorno d'oggi. È anche una questione che pone tutta una serie di problemi morali ed etici. Negli Usa fece scuola il caso di Mary Mallon (1869-1938), una cuoca portatrice sana di febbre tifoide la quale infettò decine di persone e rifiutava di smettere di fare la cuoca: alla fine venne messa in quarantena a vita. Va detto che per altro si scoprì poi nel corso del tempo che i portatori sani erano troppi per ricorrere con tutti a quel metodo. Noi siamo ancora pronti a misure così rigide? Speriamo di non averne mai bisogno.

Un isolamento così grande come quello tentato ora è comunque una novità assoluta. Che richiederà un grande sforzo collettivo. Con Ebola i sistemi di quarantena hanno funzionato molto bene anche se applicati in Paesi con sistemi sanitari fragili. Ma le dimensioni del fenomeno erano decisamente minori.

Il paragone più recente in un mondo molto più disorganizzato, e lacerato dalla guerra, è quello con l'influenza spagnola del 1918. La carta dell'isolamento interno ed esterno venne usata in modi molto diversi. A volte funzionò anche molto bene. In Giappone il tasso di mortalità stimato fu dello 0,425%, un dato molto più basso rispetto a molti altri Paesi per i quali sono disponibili dati. Il governo giapponese limitò radicalmente i viaggi marittimi da e verso le isole di origine della pandemia. L'Australia quasi riuscì a passare indenne. Solo 12mila morti. Interruppe la quarantena solo con lieve anticipo fidandosi delle assicurazioni dei Paesi vicini.

Se no avrebbe evitato anche quei morti.

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