Alla fine Inès, quasi, ce l'ha fatta: ha colorato con l'arancione di Ciutadans (C's) metà Catalogna, da Barcellona a Tarragona, portando il suo partito sul podio dei più votati alle elezioni regionali catalane di ieri. Non è riuscita, però, ad arginare le tre forze indipendentiste, Erc, JxC e Cup, autrici dello strappo con Madrid il 27 ottobre. I tre partiti, questa volta alle urne da soli, rispetto alla lista del 2015, hanno guadagnato in totale, contro ogni previsione che li dava sotto di cinque punti, 71 seggi, tre punti più della maggioranza assoluta. Per ritornare a governare, nel nuovo Parlamento e a eleggere, entro il prossimo 6 febbraio, il prossimo presidente catalano, Puigdemont, Junqueras e Riera dovranno coalizzarsi di nuovo. E andare d'accordo.
Alle 23 di giovedì sera, tre ore dopo la chiusura dei seggi, con il 90 per cento delle schede scrutinate, Ciutadans della 36enne candidata, Inés Arrimadas, aveva 36 seggi, contro i 25 delle elezioni del 2015, in un testa a testa con i 34 seggi del primo partito indipendentista: Junts per Catalunya (JxC) dell'ex President, fuggito a Bruxelles per evitare le manette, Carles Puigdemont. La Sinistra repubblicana catalana dell'ex vice presidente Oriol Junqueras, in carcere da 51 giorni per disobbedienza, è la seconda forza separatista più votata, con 32 seggi, mentre agli anticapitalisti di Cup ne sono andati 4, fondamentali per dare la maggioranza a JxC ed Erc. Diversi i numeri per le rimanenti forze unioniste: a parte l'exploit di Ciutadans, ai Socialisti catalani (PSC) andrebbero 17 scranni, mentre ai Popolari, da sempre in territorio molto ostile in Catalogna, 4. Infine, Catalunya en comù (CatComù) della sindaca di Barcellona Ada Colau con 8 seggi: poteva essere l'ago della bilancia, ma le tre forze indipendentiste hanno scritto un'altra storia, togliendo ogni dubbio o speranza a una abbastanza improbabile alleanza tra la anti-separatista Arrimadas e la sindaca, bisex, molto ambigua in politica che punta a Madrid da ministro.
I dati già anticipati nelle previsioni, sono resi ancora più sorprendenti dalla prepotente avanzata del giovane partito di centro-destra, (C's), nato nel 2006 in Catalogna come forma di protesta allo strapotere del bipartitismo dei Popolari di destra (PP) e dei Socialisti (PSE). E, ancora più sorprendente, è stata la partecipazione, in una consultazione cruciale per il futuro della regione più ricca di Spagna: l'82%, un dato altissimo e mai registrato.
Fin dalle prime ore del mattino si vedevano lunghissime file all'ingresso dei seggi, molti dei quali scuole pubbliche, già utilizzate lo scorso 1° ottobre nel referendum per l'indipendenza, deciso dalla Generalitat di Puigdemont, ma ostacolato dall'esecutivo di Madrid e Costituzione che, chiaramente, sancisce la Spagna come una nazione unica e indivisibile. Alle 13 l'affluenza degli elettori segnava un 34,7 per cento, mezzo punto più basso rispetto al 2015, segno che molti catalani avevano preferito recarsi in ufficio, per poi votare all'uscita. Tra le 19 e le 20 si sono riformate le code ai seggi.
Erano i ritardatari e gli indecisi, dopo una campagna elettorale anomala per la presenza di molti candidati secessionisti in prigione, indagati e ricercati con mandato d'arresto. E dopo un caldissimo autunno di ribellione che, ora, potrebbe diventare un turbolento inverno per Rajoy.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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