La tensione tra Stati Uniti e Cina sta raggiungendo un livello altissimo. Anche dopo l'insoddisfacente conclusione dell'assemblea dell'Organizzazione mondiale della sanità, il presidente americano Donald Trump continua ad attaccare Pechino a testa bassa sul tema della responsabilità cinese per la pandemia di coronavirus. Lo stile, al quale si fa sempre fatica ad abituarsi considerando che il mittente è la Casa Bianca, è quello della comunicazione secca e bruta affidata a Twitter. Nell'ultimo messaggio agli americani e al resto del mondo, Trump sembra in realtà rivolgersi in primo luogo ai suoi potenziali elettori, cercando consenso in vista delle presidenziali del prossimo 3 novembre: «Un pazzo in Cina ha appena rilasciato una dichiarazione incolpando chiunque ad eccezione della Cina per il virus che ha ucciso centinaia di migliaia di persone. Per favore, spiegate a questo pazzo che è stata l'incompetenza della Cina, e nient'altro, a provocare questa strage in tutto il mondo!».
Al ministero degli Esteri di Pechino, dove sono abituati a un uso raffinato anche se piuttosto perverso della diplomazia, devono essersi drizzati i capelli a parecchi funzionari, consapevoli che il presidente-tycoon in carica è qualcosa di peggio di un osso duro: è un imprevedibile cane sciolto. Ma la prosecuzione sul piano della rissa da ballatoio della polemica sul Covid-19 è ancora poca cosa rispetto alla piega che sta prendendo la questione di Taiwan apertasi all'Oms, delicatissima perché anche se è probabile che per Trump sia poco più di un'arma polemica da brandire in questa fase rappresenta un dogma sul quale i dinosauri rossi cinesi non ammettono discussioni. Ieri Mike Pompeo anche lui usando Twitter ha mandato un caloroso messaggio di congratulazioni alla presidente taiwanese Tsai Ing-wen che iniziava il suo secondo mandato. In esso, il segretario di Stato Usa sottolineava che «la vibrante democrazia di Taiwan è una fonte di ispirazione per la regione e il mondo». Peccato che gli Stati Uniti che pure sottobanco sono i migliori alleati di Taiwan e la armano fino ai denti - non intrattengano relazioni diplomatiche con Taipei, e non per caso: Washington, come quasi tutti i Paesi del mondo, ha ufficialmente accettato quarant'anni la pretesa di Pechino che esista una sola Cina (la loro) e di conseguenza che le libere istituzioni di Taiwan siano una parodia di Stato ribelle, che tra l'altro Xi intende cancellare anche con la forza entro 20-30 anni.
Il messaggio di Pompeo, al quale subito la signora Tsai ha risposto ricordando «la forte e promettente partnership tra Taiwan e Usa», è insomma una provocazione consapevole a Xi Jinping. Immaginarsi poi la collera del presidente cinese ieri nel leggere il discorso di insediamento di Tsai Ing-wen, che è una sfida ancor più aperta a Pechino: non solo un esplicito no al metodo in uso a Hong Kong «una Cina-due sistemi» (perché a Taiwan hanno visto quale sia il rispetto che i cinesi hanno delle libertà democratiche dell'ex colonia britannica), ma anche un aperto invito a Xi a cercare con lei un modo per far coesistere la Cina comunista con quella democratica di Taiwan.
Xi non ha perso tempo per replicare, in termini assai minacciosi: «Non accetteremo mai» l'esistenza di due Cine, la riunificazione sotto il regime rosso «è una necessità storica inarrestabile da qualsiasi forza» e la presa di posizione americana «è un tradimento che suscita indignazione». Pechino prenderà le necessarie contromisure e Washington le subirà, tuona Xi. Aria di tempesta, non solo nello stretto di Taiwan.
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