
Picchiata e violentata in piena notte. Calci, schiaffi, pugni e minacce persino con un'ascia. Da anni una casalinga di 35 anni della bassa reggiana subisce vessazioni d'ogni genere. Fino a quando il figlio di 12 anni chiede aiuto al 112. Quando i carabinieri di Novellara, Reggio Emilia, arrivano sul posto sentono delle urla agghiaccianti.
È lo stesso bambino ad aprire la porta in lacrime. «La sta ammazzando di botte, fermatelo». I militari lo bloccano e l'arrestano in flagranza di reato mentre l'orco, un cittadino indiano di 40 anni, prova a difendersi. «È mia moglie, non deve dormire». Scatta una prima denuncia, viene aperto un fascicolo secondo il «codice rosso», la nuova legge che tutela donne e soggetti deboli avviando indagini immediate.
Coordinati da un paio di magistrati, i carabinieri del posto sottopongono la donna e il ragazzino al regime di protezione. L'uomo, intanto, viene messo agli arresti domiciliari nell'abitazione di alcuni connazionali in attesa della decisione del gip. I carabinieri di Novellara mandano l'informativa al reparto operativo di Reggio e da questo in Procura. L'episodio, dell'agosto 2019, è solo l'ultimo di una lunga serie di vessazioni fisiche che la poveretta subisce da almeno sei anni, spesso davanti al figlio a dir poco terrorizzato, anche lui picchiato senza motivo.
Un padre-padrone, lo definiscono gli stessi investigatori, che cercano di capire il perché di tanta violenza. Nemmeno la donna, affidata ai servizi sociali, riesce a spiegare i motivi per cui il marito la picchia. «Quando mi trova a letto, anche di notte, mi sveglia dandomi una scarica di botte. Non vuole che dorma». Non solo. L'uomo la violenta sistematicamente anche davanti al figlio. L'indagato, un operaio, parla poco e davanti al gip accenna a vaghe giustificazioni, tanto che viene rinviato a giudizio. Una storia inquietante che porta il 40enne alla sbarra. Le accuse sono pesanti: maltrattamenti in famiglia aggravati dall'averli commessi davanti a un minore, lesioni personali, violenza sessuale. In primo grado viene condannato a sei anni di reclusione con decreto di espulsione dal territorio nazionale a fine pena. Perde anche la tutela del figlio, affidato in maniera esclusiva alla madre.
L'uomo ricorre in appello. È convinto di essere nel giusto, lui: «Con mia moglie sono io che comando, da noi è così che funziona una famiglia». A novembre, nel processo di secondo grado, viene confermata la prima sentenza. La condanna diventa esecutiva e alla vigilia di Natale lo straniero finisce in carcere. Dovrà trascorrere ancora 5 anni, 11 mesi e 23 giorni di reclusione dietro le sbarre, poi verrà espulso dall'Italia dove non potrà più tornare. La donna è in una struttura protetta e il figlio, oggi 14enne, con l'aiuto dei servizi sociali sta superando i traumi subiti.
Una storia drammatica, come tante altre. Sono centinaia i procedimenti aperti dopo l'approvazione della legge che difende le vittime di reati commessi in ambito familiare, tutti coordinati da un pool di magistrati che lavora con investigatori qualificati.
Spesso, però, tra l'apertura dei fascicoli d'indagine, i rapporti degli assistenti sociali, le decisioni dei giudici (a volte divisi fra Tribunale dei minori e Tribunale ordinario) passano mesi e i provvedimenti tardano ad arrivare. «In questo caso è stata fondamentale la flagranza di reato - commentano gli inquirenti - che ci ha permesso di fermare l'indagato allontanandolo dalla moglie e dal figlio».