Auto e produttori di energia: futuro da alleati o avversari?

Le case automobilistiche hanno affidato le chiavi del mercato della mobilità elettrica ai produttori di elettricità. Gli energy provider, infatti, con i loro piani di sviluppo dei punti di ricarica, hanno il potere di condizionare la nascita e la crescita di questo mercato. Oggi non sembrano interessati perché lo ritengono un business marginale e, apparentemente, nessuno sembra rendersi conto delle conseguenze di una tale situazione. Almeno in Italia. Proviamo a capire meglio. Oggi i maggiori costruttori hanno a listino o nei loro piani di breve termine veicoli elettrici a batterie e/o ibridi plug-in. Stanno investendo in R&D, in centri di produzione e in comunicazione: segnali che non ammettono dubbi sulle potenzialità della mobilità elettrica.

Sull'altro versante, i consumatori mostrano grande interesse per questi prodotti tecnologicamente così avanzati, ma allo stesso tempo manifestano una certa resistenza ad adottarli come mezzi di trasporto personale. La spiegazione più gettonata per questo comportamento contraddittorio è che la gratificazione di muoversi con una vettura silenziosa, con «gustose» prestazioni in termini di accelerazione e velocità, marciando sempre a emissioni zero o prossime allo zero, si scontra con un'autonomia di percorrenza ancora troppo limitata e penalizzante. È certamente una corretta interpretazione, ma è solo la punta dell'iceberg.

L'unica vera spiegazione della resistenza dei consumatori nei confronti dell'auto elettrica è la mancanza di una capillare rete di punti di ricarica delle batterie. L'auto elettrica è molto cool, lo si avverte parlando con la gente e con i giovani. È ormai di casa in convegni, presentazioni e manifestazioni. È percepita come un mezzo che distingue e identifica un approccio tecnologico evoluto e attenzione all'ambiente. Peccato, però, che le immatricolazioni non rispecchino questo scenario. I mercati locali sono impegnati a fronteggiare la crisi dell'auto tradizionale e i general manager delle filiali in Italia sono «condannati» a inseguire gli obiettivi di vendita, necessari per la sopravvivenza.

Succede, quindi, che la pressione quotidiana faccia trascurare i segnali del cambiamento e si continui ad applicare il modello di valutazione del business tradizionale per affrontare un nuovo mercato. Ecco allora che il mancato decollo dell'elettrico può portare a concludere sbrigativamente che non ci sia mercato per questi nuovi prodotti. E se così non fosse?

I dubbi sembrano farsi sempre più forti se in alcuni mercati i costruttori hanno già deciso di prendere in mano direttamente le redini del business dell'elettrico, facendosi carico dello sviluppo della rete di ricarica. Si sta scoprendo come quello che si pensava fosse di competenza di altri, sia invece il vero punto cruciale. Per cogliere l'opportunità di dare una «scossa» al mercato tradizionale, le case madri dovrebbero forse avviare un progetto «elettrico» locale, sulla scia delle esperienze già fatte dalle stesse in diversi Paesi. Il mercato italiano, stremato da tasse e vessazioni, ha visto i costruttori e gli attori della mobilità chiedere ascolto e aiuto al governo. Ha ottenuto come risposta l'ennesimo tavolo di lavoro, per l'occasione battezzato «consulta», ma l'impressione è che sia stato avviato più per procrastinare scelte e decisioni che non per agire concretamente. L'auto ha contenuti di avanguardia che deve far pesare maggiormente sul mercato. Deve assumere una posizione di leadership e guidare l'evoluzione ibrida ed elettrica in chiave tecnologica. L'automotive non dovrebbe inseguire, agganciandosi tatticamente a contesti eco-generalisti.

In questi casi, infatti, l'immagine che inevitabilmente e involontariamente viene mutuata è di un'auto «a rimorchio» del green, con un approccio me too. A rischio autogoal.

di Gabriele Bordon, Co-fondatore di Automobile-Domani

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