Prodi scarica le responsabilità su Chirac

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Massimiliano Scafi

da Roma

E adesso? Adesso avanti tutta, dice Romano Prodi. Certo, spiega, c’è qualche «equivoco da capire», c’è qualche «ultima decisione da ripensare», c’è soprattutto l’esito di un referendum «da non sottovalutare». Però, dice, «bisogna riprendere il cammino verso l’integrazione: tornare indietro non si può, significherebbe uccidere la pace in Europa». Il no francese non sembra dunque allarmare il Professore: più che un campanello d’allarme, lui lo considera uno spiacevole incidente di percorso. «Un voto contro la burocrazia di Bruxelles? Balle, che i governi raccontano per salvare le loro situazioni interne e che ora pagano. Paura dell’allargamento? Con la Ue a 25 io non chiesto un euro in più ai cittadini». La colpa insomma, sotto sotto, è di Jacques Chirac: «L’avevo messo in guardia, perché il referendum non risponde mai alla domanda per cui viene fatto; ma lui era sicurissimo... ».
Ma a sinistra la linea minimalista di Prodi non trova quasi nessuno d’accordo. A cominciare da Piero Fassino: «Sul risultato francese è necessaria una profonda riflessione, non può certo essere considerato un incidente di percorso. Il voto anzi è la prova che va affrontato e risolto il deficit di partecipazione democratica nella costruzione europea». Indietro, questo è ovvio, «non si torna». Però, avverte il segretario della Quercia, «serve una maggiore fiducia e un maggiore coinvolgimento dei cittadini». Preoccupato pure Massimo D’Alema: «È stato il voto delle due paure, quella di chi temeva di perdere con la Costituzione i diritti acquisiti e quella di chi pensavano di perdere con l’allargamento la propria identità. È stato un colpo duro all’unità europea. Il problema è serio, perché quando vince la paura significa che la politica non è riuscita a trovare le risposte adeguate». Deluso anche Francesco Rutelli: «Hanno vinto le posizioni estreme, l'antieuropeismo dell'estrema destra e dell'estrema sinistra. Però ha perso anche chi dice che in Europa tutto sta andando per il meglio. Occorre che l'Ue cambi e rapidamente in profondità, che si occupi della crescita economica, che è ferma, e di un ruolo nel mondo, perché la guerra in Irak ha dimostrato che è divisa e incapace di agire». E persino Giuliano Amato, vicepresidente della Convenzione dei saggi che hanno scritto la Carta, è oggi uno dei più pessimisti sul futuro: «Sono il padre di una bambina che non è nata e che forse non nascerà, perché senza Francia non c’è Costituzione. Ma dire che ha perso una visione troppo liberista è una deformazione propagandistica dell’estrema sinistra».
E proprio a Roma, ospiti di Fausto Bertinotti, si riuniranno la settimana prossima i leader continentali della sinistra radicale. Intanto il segretario del Prc se la prende con «Rutelli, Prodi, Amato e Fassino, che sono stati sconfitti». Battuti, aggiunge, «anche i Ds con la loro campagna "scrivi a un amico francese e digli di votare sì": la lettera è tornata al mittente». Gli risponde, duro, Clemente Mastella: «Questi attacchi a Prodi e Fassino sono del tutto fuori luogo, come se fosse colpa loro, Servirebbero dichiarazioni più sobrie».
E Bertinotti corregge il tiro: «Non solo Prodi, tutta la classe dirigente, da Fassino a Fini, esce indebolita dal referendum. Berlusconi per esempio in Parlamento ha votato a favore della Costituzione. Il no francese dimostra comunque che la questione della democrazia è assolutamente cruciale se si vuole ridurre il distacco tra politica e Paese reale». Parole simili a quelle del ds Cesare Salvi: «Da Parigi una buona notizia per i lavoratori, ha vinto un no socialista e di sinistra. Ora si costruisca un Europa su basi più democratiche».
E se Prodi vuole andare avanti, i verdi chiedono come la Lega di «riaprire il dibattito anche sulla ratifica italiana». «Il nostro Parlamento ha chiuso la discussione troppo frettolosamente - dice Paolo Cento -.

Noi infatti ci eravamo astenuti, sia per mettere in luce alcune insufficienze sui diritti civili e la pace, sia per criticare la scelta di non affidare la questione a un referendum, che resta l’unico strumento di garanzia democratica nel processo di adozione della Carta fondamentale dell’Unione». Rifondazione è d’accordo: «Quello francese non è un voto antieuropeista - sostiene Franco Giordano - . Anzi, ci insegna che una Costituzione non può essere ratificata nel chiuso delle aule parlamentari».

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