Anna Maria Greco
da Roma
È la prima volta per Nicola Marvulli, nel ruolo centrale allinaugurazione dellanno giudiziario. E sembra che il primo presidente della Cassazione laspettasse da tempo. Soprattutto, per sparare a zero contro le leggi sulla giustizia, spesso «troppo garantiste», di questo governo, nuovo ordinamento giudiziario in testa. Proprio la legge che gli dà la parola, mentre finora era il Pg della Cassazione a fare la relazione sullo stato dellarte.
Al tempo stesso, Marvulli critica le toghe ammalate di «protagonismo», quelle che si fanno condizionare troppo dalle correnti e lo stesso Csm, quando soggiace allideologia e non al principio del pluralismo.
Avvolto nella solenne toga rossa, bordata di candido ermellino, Marvulli solleva gli occhi dai fogli e guarda la prima fila, dove siedono accanto al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il premier Silvio Berlusconi e il guardasigilli Roberto Castelli, quando dice: «Oggi la magistratura, a causa dell'inadeguatezza dell'amministrazione della giustizia, non gode più dell'antico prestigio, quello che era il prestigio della casta». Laccusa è precisa e a circostanziarla ci pensano gli altri passaggi del discorso, che criticano in particolare la riforma Castelli. Per Marvulli non è «in grado accrescere l'indipendenza della magistratura» e ne pregiudicherà l'efficienza. Come fa il sistema dei concorsi, che impegnerà i magistrati, sottraendo tempo al loro lavoro. Quanto allex Cirielli, su prescrizione e recidiva, per il primo presidente «non accrescerà la funzionalità dei processi e, ciò che maggiormente preoccupa, limiterà fortemente gli spazi di apprezzamento del giudice in relazione all'accertamento in concreto della gravità della condotta del colpevole».
Ma il punto più delicato riguarda il provvedimento sull'inappellabilità delle sentenze di assoluzione, la legge Pecorella. Marvulli sa bene di aver già avuto il suo peso nel rinvio alle Camere da parte del Quirinale e ringrazia Ciampi, rivolgendosi direttamente a lui: «La corte di Cassazione deve a lei se queste nostre fondate preoccupazioni potranno formare oggetto di doverosa attenzione da parte del parlamento italiano». Ora, però, bisognerà vedere come sarà modificata la legge. Il primo presidente si dice «fiducioso», sottolineando che sono in gioco «il futuro della Corte, la salvaguardia delle sue funzioni, la corretta amministrazione della giustizia ma anche e, soprattutto, la stessa necessaria difesa di uno Stato di diritto».
Cè però anche dellautocritica di corporazione, nella relazione di Marvulli. Lui, che siede di diritto nel Csm, e critica le forme che ha assunto oggi il suo autocontrollo, troppo condizionato dallAnm. «Il pluralismo - avverte- è una ricchezza del nostro autogoverno, ma esso fallisce il suo compito nel momento in cui alla virtù dell'obiettività si sostituisce la solidarietà ideologica. Non sempre abbiamo saputo liberarci da condizionamenti correntizi che mal si conciliano con l'indipendenza e l'autonomia della magistratura e, ancor più, con l'immagine che di questa deve avere l'opinione pubblica». E per il più alto togato dItalia, se la magistratura ha perso parte del suo prestigio è anche colpa di comportamenti degli stessi appartenenti allordine. Innanzitutto, il protagonismo che «non solo calpesta la discrezione, ma finisce anche per offendere l'obiettività, perché il narcisismo esibizionista è di per sé indice di scarsa imparzialità, di scarso equilibrio, di scarsa saggezza, e di scarsa professionalità».
Quando interviene Castelli è per descrivere le «norme senza precedenti» varate in questa legislatura, per «ridurre la durata dei processi e incrementare la competitività del sistema Italia». Se si poteva fare di più, ammette, sarà il popolo a giudicarlo alle urne. Castelli nega che ci sia stato scontro tra le istituzioni, sottolinea che sulla riforma della giustizia sono stati accolti i rilievi di Ciampi. Certo, dirà poi, è ancora «perfettibile».
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