Politica

«Punire l’Italia? Sarebbe un segnale negativo»

Alberto Toscano

da Parigi

«Punire l'Italia sarebbe lanciare un segnale grave e negativo», dice Jean-Paul Fitoussi, presidente dell'Ofce (Osservatorio francese delle congiunture economiche) e segretario generale dell'Associazione internazionale di scienze economiche. Fitoussi, docente al prestigioso Istituto di studi politici di Parigi, è oggi il più celebre economista francese. Fin dalla nascita del Patto di stabilità, nella seconda metà degli anni Novanta, Fitoussi ha vivacemente contestato l'eccessiva rigidità delle regole adottate per la gestione dell'euro.
Come giudica la riforma per rendere più «flessibile» il Patto di stabilità, realizzata soprattutto sulla base delle pressioni francesi, italiane e tedesche?
«È ben difficile giudicarla perché non l'abbiamo ancora vista all'opera. In realtà quella riforma è stata formulata in modo troppo generico perché la si possa valutare indipendentemente dalla sua concreta attuazione».
Però si può dire se va o no nella giusta direzione…
«In questo caso la risposta è positiva: va nella giusta direzione perché consente di tenere conto delle specificità e delle diverse circostanze esistenti nei vari Paesi, garantendo al tempo stesso il trattamento benevolo di alcune spese per gli investimenti. Però devo insistere sul fatto che quella riforma è molto, troppo vaga. Per pronunciarsi sulla sua reale utilità bisogna ancora attendere».
Si è rimangiato qualcuna delle sue dure critiche al Patto di stabilità?
«Niente affatto. La riforma non mi ha fatto cambiare idea sul Patto in sé, nato come sintomo di rigidità e ancor più rigidamente interpretato dalla Commissione. Diciamo la verità: non ci troveremmo a questo punto se ci fosse stata un'interpretazione più intelligente di quel documento».
Che cosa pensa della procedura aperta dalla Commissione contro l'Italia per «deficit eccessivo»?
«Cominciare una procedura fa parte dei diritti della Commissione, ma ciò non significa che un provvedimento per “deficit eccessivo” sia destinato a sfociare in una punizione. In passato abbiamo visto il contrario: le procedure avviate dalla Commissione contro Francia e Germania sono state bloccate dal Consiglio dei ministri. Oggi non vedo come per l'Italia si potrebbe prendere una posizione diversa da quella che il Consiglio dei ministri ha assunto nei confronti di Francia e Germania».
Resta il fatto che teoricamente l'Italia potrebbe essere multata per il proprio deficit…
«Quell'ipotesi dimostra il carattere stupido del Patto di stabilità, che può sfociare in sanzioni destinate a rallentare la crescita di uno dei Paesi membri. L'Europa dovrebbe porsi il problema fondamentale di come favorire lo sviluppo di tutti gli Stati che ne fanno parte. Invece la punizione all'Italia colpirebbe l'interesse della popolazione di questo Paese, di cui ridurrebbe le possibilità di sviluppo. Adesso tocca però al Consiglio dei ministri indicare le linee guida del nuovo Patto di stabilità riformato».
Che cosa vuol dire?
«In luglio tutti aspettano al varco i ministri economici. Non si tratta solo di esprimersi sul caso dell'Italia o di altri Paesi. Si tratta di creare una nuova giurisprudenza in questa materia e di indicare con precisione le linee guida per l'interpretazione di una riforma che i ministri stessi hanno voluto».
Da dove occorre partire?
«Dalla difficile situazione delle nostre economie e dal fatto che in Europa i governi nazionali stentano a trovare mezzi per lottare efficacemente contro la crisi e a favore dello sviluppo».
Che scommessa giocare?
«Senza dubbio quella degli investimenti. In Paesi come la Francia e l'Italia c'è un enorme bisogno d'investimenti nelle infrastrutture, nelle aree urbane, nella ricerca scientifica, nella scuola, nell'energia. Gli esempi al riguardo potrebbero andare avanti a lungo».
Ne faccia uno.
«Da anni e anni si parla della nuova linea ferroviaria Lione-Torino, destinata ad assorbire una parte rilevante del traffico merci attraverso le Alpi. Molti hanno ostacolato quel progetto, ma poi basta un camion di pneumatici che s'incendia nel Fréjus per rischiare di mandare in tilt uno degli assi commerciali più importanti d'Europa. Non si può ragionare solo in termini di limiti al deficit.

Occorre saper guardare lontano».

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