Quando l'imprenditore preferisce chiedere aiuto alla 'ndrangheta

Se a Cernusco sul Naviglio ieri si chiede della Blue Call, l'azienda di call center finita nelle mani della 'ndrangheta, si trovano solo facce stupite: «Mai sentita nominare», dicono persino i vigili urbani. Ma la Blue Call esisteva, nelle sue diverse incarnazioni societarie, ed era un arealà grossa e importante. Quando la Guardia di finanza è andata ad analizzare la sua attività, ha scoperto che tra i clienti della Blue Call, tra le aziende che utilizzavano i suoi servizi per rispondere alle richieste degli utenti, c'erano nomi del calibro di Mediaset e di Sky, di Vodafone, di Wind, di Ticket One. Andrea Ruffino e Tommaso Veltri, i fondatori della Blue Call, erano riusciti a mettere in piedi una azienda che funzionava, dava lavoro, rendeva. Certo, anche loro avevano commesso un peccato originario: non avevano scelto la strada della trasparenza, tanto che i loro nomi nell'assetto societario non comparivano. Ruffino, forse per via di una vecchia accusa di bancarotta, aveva intestato le quote alla madre. Veltri alla moglie. Poca cosa, comunque, rispetto al peccato che commettono quando per proteggere la filiale di Rende, in Calabria, finita nel mirino del racket, chiedono l'aiuto del clan Bellocco.
Da quel momento in poi, il destino della Blue Call è segnato. La Procura della Repubblica, nella richiesta di confisca dell'azienda, scrive che la 'ndrangheta «dapprima sembra essere un socio ordinario, rispettoso delle regole; successivamente mostra le sue intenzioni: appropriazione di denaro dalle case sociali; l'azienda viene considerata cosa propria e costituisce per il sodalizio una rendita parassitaria; quando gli altri soci formulano rimostranze vengono non solo tacitati con minacce e violenza, ma vengono espropriati di qualunque capacità decisionale». Sono i meccanismi di cui c'è ampia traccia nelle intercettazioni telefoniche, quando i due fondatori della ditta, ormai estromessi dai nuovi soci, si sfogano: «Le minacce che mi hanno fatte sono oltre ogni livello, se vengono dentro quelli abbiamo finito. Ci prendono, si puntano la pistola, ci fanno fare il giro dei soldi e non ci mollano più», racconta Andrea Ruffino, dopo un incontro in cui l'emissario del calabresi gli ha quasi sgonfiato un timpano a sberle.
I due imprenditori, rimarca la Procura, non sono delle vittime innocenti, tanto che ieri vengono arrestati anche loro: «É da sottolineare l'atteggiamento di Ruffino e Veltri che, in un primo momento, hanno pensato di usare i Bellocco per proteggere i loro interessi societari e questo, alla luce del risultato raggiunto, è stato un gravissimo errore anche da un punto di vista imprenditoriale (...) non è stata tanto la 'ndrangheta che autonomamente si è impossessata di una azienda, ma i Bellocco sono stati chiamati dal gestori della Blue Call».
I lavoratori dei call center probabilmente non si sono neanche resi conto del tutto di quanto accadeva sopra le loro teste, anche se il brusco cambiamento di management qualche conseguenza l'avrà sicuramente avuta. Ora, poi, sono nelle mani degli amministratori nominati dal tribunale, perché - come ha spiegato ieri Ilda Boccassini - la Procura non vuole che le conseguenze dell'inchiesta ricadano sui posti di lavoro.

Ma è chiaro che il futuro dei quattrocento dipendenti della Blue Call non si presenta roseo. Con i soldi della ditta, spiega la Procura, si mantenevano i latitanti. Le conseguenze, ora, rischiano di pagarle i dipendenti.

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