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Quanti avversari fra re Armstrong e la settima corona

Nella corsa che scatta domani il texano vuole migliorare il record di sei vittorie consecutive Ma Ullrich, Vinokourov e Basso sono pronti a fermarlo

Cristiano Gatti

Non succederà molto spesso, nei prossimi mille anni, di assistere a un simile tentativo: un essere umano che prova a vincere il settimo Tour de France consecutivo. Conviene gustarcelo, noi che casualmente capitiamo nell’epoca di questo primo e storico assalto. Mai, prima d’ora, una cosa del genere. Dopo, in futuro, chissà: potrebbe anche essere mai.
Diverse volte Lance Armstrong ha catturato l’attenzione del mondo con le sue sfide iperboliche. La più sbalorditiva l’ha vinta giovanissimo, su quell’avversario molto più impervio di sette Tour, il cancro. Poi, tornato alle cose sportive, ha cominciato a stupire in modo sempre più azzardato. Prima la vittoria numero uno, subito dopo la malattia, quando nessuno credeva possibile una resurrezione a certi livelli estremi. Quindi, strada facendo, i record dei grandi numeri: nel 2003 entra nel club dei cinque (i vincitori di cinque Tour: con lui, Anquetil, Merckx, Hinault, Indurain), nel 2004 stabilisce il nuovo record assoluto di sei vittorie. Ora, l’impossibile: sette volte in giallo. Di seguito. Ipotesi incredibile e mostruosa.
È talmente affascinante, il film che ci viene proposto in questo luglio francese, che persino il suo primattore ha deciso di prolungare appositamente la carriera. Avrebbe smesso volentieri l’anno scorso, salutando tutti da vincitore, da recordman imbattuto. Ma il pensiero di arrivare a sette l’ha convinto ad insistere. Più dei dollari, di cui non ha bisogno. Più dello sponsor, che pure ha premuto.
Occhi puntati sulla Francia, allora. Fiato sospeso davanti al tentativo più ardito. Per riuscire nell’impresa, l’americano che non lascia mai nulla al caso stavolta ha tutte le intenzioni di non lasciare nulla nemmeno alla concorrenza. Neanche la speranza. Il vecchio Lance, conscio comunque di avere un anno in più (saranno 34 il 18 settembre) e qualche energia in meno, ha pensato di colmare queste ipotetiche incrinature con un massiccio innesto di forza bruta esterna, reclutando compagni che chiamare gregari suona quasi comico: accanto al solito Hincapie, troveremo stavolta il talento assoluto Popovych e il nostro Savoldelli, recente vincitore del Giro d’Italia. Sia pensando alla famigerata cronosquadre, spettacolo esaltante e al tempo stesso ingiusto che il Tour si ostina a riproporre, sia a quanto succederà sulle montagne, la squadra di Armstrong appare di un altro pianeta. L’impressione, a poche ore dal via, è che l’americano stavolta possa fare più fatica a perdere che a vincere. Però attenzione: un Tour è talmente difficile e imprevedibile da rendere precaria qualsiasi previsione. Diffidare dei risultati troppo scontati.
La concorrenza lo sa. Ci conta. Ancora una volta, a guidarla sarà il tedesco Ullrich, vittima predestinata (una vittoria e cinque secondi posti) di Armstrong. Anch’egli risponde allo squadrone con uno squadrone: al suo fianco, Klöden e Vinokourov – fresco campione nazionale in Kazakistan – appaiono molto più che semplici gregari. Guarda caso, già l’anno scorso Klöden è arrivato secondo, battendo il suo capitano soprattutto in montagna.
Poi ci sono gli spagnoli (il giovane Valverde resta il più atteso), gli australiani (è Rogers, secondo al recente Giro di Svizzera, il migliore di questa nuova frontiera), e poi ci siamo noi. Assente Cunego – reduce da una mononucleosi –, assente Petacchi, che stavolta preferisce correre la Vuelta a settembre per prepararsi al Mondiale, con Savoldelli ridimensionato al rango di prestigioso maggiordomo, e con Garzelli solito punto interrogativo, le speranze si chiamano ancora una volta Ivan Basso.
Ormai a pieno titolo grande esperto di Tour (l’ha studiato a suon di sconfitte, l’anno scorso finì sul podio), aggiunge alla sua fama l’ultimo Giro d’Italia, che l’ha visto nettamente più forte a cronometro e in montagna, ma anche pesantemente battuto dal memorabile malanno di Ortisei e dello Stelvio. Il viaggio in Francia gli si presenta come occasione ideale per spazzare via tutti gli interrogativi e i condizionali accumulati in Italia. Il ventaglio delle richieste è ampio: va da un altro podio, fino all’ipotesi più suggestiva di essere al posto giusto al momento giusto, implacabile, il giorno in cui Armstrong dovesse tornare tra gli umani con la definitiva sconfitta. Guai a farsi trovare distratti dalla storia...
Appuntamento per tutti con le immagini mozzafiato di Noirmoutier-en-l’Ile, un luogo veramente carico di suggestione che ospiterà la cronometro d’apertura. Poi, dopo la poetica cavalcata lungo i castelli della Loira, dopo la puntata in Germania, la resa dei conti in montagna: in senso orario, prima due tapponi sulle Alpi e quindi due tapponi sui Pirenei.
Il tema è scontato, lo stesso di sempre: caccia spietata all’inafferrabile Lance, che vuole a tutti i costi diventare l’agente «007» dello sport mondiale. Ci riuscisse, potrebbe poi mettersi finalmente comodo ad ascoltare le dicerie della storia sul suo conto. Diranno e scriveranno, già all’indomani, che era infallibile e imbattibile, ma solo un mese all’anno. E solo in Francia. Argomenti per difendersi non gli mancheranno.

Contemplando il suo record stratosferico, se ne avrà voglia, potrà rispondere che tanti altri correvano allo stesso modo, un mese all’anno e solo in Francia: loro, però, perdevano.

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