Quegli «incidenti domestici» che mandano ko la famiglia

Le famiglie sono come le automobili. I loro cavalli sono la felicità, l’armonia, la bellezza anche. Ma il guaio della felicità, dell’armonia e della bellezza è che possono dare alla testa: e a volte finisce che qualcuno si mette alla guida in stato di ebbrezza, va a tavoletta, ride e scherza con gli altri passeggeri. Così vede l’ostacolo con la frazione di ritardo fatale. E dopo l’incidente, quali che ne siano le conseguenze, nulla sarà più come prima: anche a distanza di anni la felicità sarà offuscata da un velo di tristezza, l’armonia sarà artificiale, di facciata, e la bellezza sarà sfiorita.
La crisi della famiglia, di conseguenza, è un veicolo confortevole e affidabile, per chi ne scrive da fuori: è un SUV, assicura Sentimenti Umani Violenti. Puoi andarci ovunque e in breve tempo. Prendete L’adolescente di Dostoevskij, dove il brillante ma tormentato Versilov, strappato il volante dalle deboli mani di Makar Ivanovic, conduce il figlio illegittimo Arkadij a un frontale con la vita. Oppure prendete Madame Bovary di Flaubert, dove la fragile Emma s’illude che la sua scassata utilitaria possa avere prestazioni da fuoriserie, e va a sbattere contro il guardrail dell’amore.
Se poi le candele del rapporto fra mamma e papà sono troppo sporche di noia e i figli hanno prosciugato, crescendo troppo in fretta, tutta l’acqua del radiatore, occorrerebbe accostare lentamente a destra, fermarsi, portare la vettura in officina per una bella revisione. Ma non si può o non si vuole, meglio nascondere i problemi, a se stessi e agli altri, quelli che ti sorpasserebbero con un sorrisetto ironico stampato in faccia pensando «guarda quelli lì, sono scoppiati». Dunque si procede, ostaggi di troppi vincoli, parentali e sociali, camuffando con la falsa felicità, la falsa armonia e la falsa bellezza ciò che è invece un cupio dissolvi, un gioco al massacro.
Il dio del massacro è quello che regola sotto traccia, in attesa di manifestarsi con i favori di un banale casus belli, l’esistenza di due famiglie borghesi nell’omonima pièce di Yasmina Reza, la drammaturga amicissima di Nicolas Sarkozy (Adelphi, pagg. 92, euro 9, traduzione di Laura Frausin Guarino ed Ena Marchi). Due ragazzini, figli dell’una e dell’altra coppia, litigano ai giardinetti, come accade un milione di volte ogni giorno in Francia e in qualsiasi altra parte del mondo. Uno dei due prende un colpo in faccia e ne esce con due denti malridotti. Eccolo, il sassolino nel motore che fa saltare il banco. Trovarsi tutti e quattro in casa delle parti lese per una formale (molto formale...) pacificazione da persone civili ed evolute non fa che peggiorare la situazione, visto che i nodi vengono presto al pettine. «I figli fagocitano la nostra vita e la sgretolano - dice Michel, il padre più terra-terra -. I figli ci portano alla rovina, è una legge. Quando vedi le coppie che convolano a giuste nozze col sorriso sulle labbra, tu pensi, non lo sanno, non sanno niente poveracci, sono tutti contenti. Nessuno vi dice niente prima». Roman Polanski ha cancellato, forse mosso da pietà cristiana, la parola «dio» dal titolo del suo nuovo film tratto proprio da questo scheletrico ma intenso dramma teatrale «domestico» che sarà in concorso all’imminente Mostra del Cinema di Venezia. E in Carnage dalla Francia ha spostato l’azione a New York, arruolando Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly.
Molto meno «domestico» e di un respiro più ampio che, per converso, lascia con il fiato corto il lettore, bersaglio del fuoco incrociato della trama «gialla» e della sottotrama psicologica, è il secondo romanzo dell’olandese Herman Koch che giunge in Italia dopo l’eccellente La cena dell’anno scorso. Anch’esso targato Neri Pozza, e anch’esso incentrato sul fragile equilibrio fra genitori e figli, in Villetta con piscina (pagg. 364, euro 17, traduzione di Giorgio Testa) il vago sentore manniano che si percepisce nella vacanza meridionale e assolata di una famiglia nordica (come in Mario e il mago del «Mago» Thomas, ambientato in Versilia), gli olandesi Schlosser, viene sopraffatto dalla crisi del brillante padre, il medico Marc, e della bella mamma, Caroline, alle prese con il rapido fiorire dei loro due gioielli, Julia e Lisa, di 13 e 11 anni. La magistrale «apertura», che reca il peso di una morte procurata e capovolge il giuramento di Ippocrate, si collega alla «chiusa» in cui dubbio e senso di colpa vengono diluiti nell’illusione di una pace ritrovata. Nel mezzo, dicevamo, la vicenda «gialla», con troppi uomini pericolosamente intorno all’ormai quasi-donna Julia e l’irrisolta liaison fra Marc e Judith, moglie dell’equivoco attore di successo Ralph.

E quando esplode (e implode, nelle coscienze di tutti i personaggi) la bomba del fattaccio, Marc sulle prima vorrebbe spezzarsi, ma finisce per piegarsi: «Si potrebbe pensare - dice la sua voce narrante - che una tragedia avvicini le persone e il dolore condiviso rafforzi il legame, ma non è così: molta gente il dolore vuole dimenticarlo, ed è proprio l’altro che continua a ricordarglielo».
La famiglia, in fondo, serve anche a questo: a ricordarti i tuoi personalissimi dolori, e a condividerli con te, rimettendo in moto una macchina ammaccata ma obbligata a percorrere «il resto della vita».

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