Quella matita che raccontava Milano

Quella matita che raccontava Milano

Il tavolo là in fondo, vicino alla saletta del Bagutta, era sempre il suo. Elegante, timido e riservato nella vita, forsennato e graffiante sulla carta, Luciano Francesconi (tragicamente scomparso a 77 anni nel 2011) è stato per quasi mezzo secolo vignettista del Corriere della Sera e quel pezzo di città intorno a via Solferino era il suo regno. Lì conobbe gli amici di una vita, primo fra tutti quel Dino Buzzati che lo scoprì e ne diventò il mentore. Da lì disegnava il mondo, l'Italia e Milano, e oggi la Triennale lo ricorda con la mostra «Luciano Francesconi. Una matita geniale al Corriere della Sera», che prosegue fino al 12 marzo. L'esposizione, a cura di Ombretta Nai e Francesca Fadalti, ha due facce. La prima è un omaggio al Francesconi pubblico, quello che tutti abbiamo amato, con 120 originali di illustrazioni dalla cronaca spicciola ai grandi fatti della politica: il mondo che si beve una caraffa a forma di stivale, il labirinto Italia a entrata libera, le manovrine economiche e l'euro che ci lasciano in braghe di tela, i privilegi che, con enormi cesoie, fanno a pezzi i diritti. «L'Italia è una Repubblica democratica af-fondata sul lavoro», ammoniva a margine di una delle ultime vignette, nel 2010: e chissà come avrebbe messo sul foglio, vien da chiedersi in questi giorni, la «mano in tasca» di Renzi o la zazzera agitata di Grillo! C'è anche tanta, tantissima Milano nei suoi tratti puliti e surreali: la Milano dei ghisa e delle loro improbabili multe che diventano graffiti sui malcapitati parabrezza, la Milano dei giovani e dei vecchi tic quotidiani, dello smog che annerisce e uccide, del netturbino che caccia la sporcizia sotto le auto... Dei tram, dei lavori in corso, delle poste, dei prof, degli impiegati, degli ambulanti... Fino alla Milano della moda e dell'Expo che diventa «no smoking», con l'uomo vitruviano come segnale d'allarme antifumo. Non ultima la città della cultura, con una serie di caricature da Montale a Chiara a Montanelli, e coi variopinti disegni per i vincitori del Bagutta (primo premio letterario italiano, dal 1926), a testimonianza di un sodalizio eno-gastro- artistico-letterario che durò una vita (illustrò anche i menu della trattoria, le famose «liste»). Ma Francesconi, anche se non amava dirlo forte, era anche un pittore, ed ecco il lato intimo e meno noto: la ricerca della tecnica, del dettaglio che fa la differenza in oli, acrilici, collages, grafiche, ceramiche e acquarelli in molti casi esposti per la prima volta.

E se in privato è stato definito un «aristocratico del disegno» (un arbiter elegantiarum dei nostri tempi, che fissava l'idea primordiale a colpi di Montblanc), il Francesconi «quotidiano» non perdeva mai la vena critica. «Sono un umorista -amava ripetere- e mi occupo di costume. Nel costume c'è tutto, dalla politica all'economia, al pensiero di un'epoca».

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