Quelle sceneggiature rifiutate dal cinema che diventano buoni romanzi

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Michele Anselmi

da Roma

C'era proprio tutto il cinema che conta, lunedì pomeriggio al modaiolo «Crudo», dietro Campo de' Fiori, per festeggiare l'amico ritrovato Umberto Contarello. Scampato a un infarto, rimessosi al lavoro di buona lena (Ovunque sei di Placido, La stella che verrà di Amelio), il 47enne sceneggiatore padovano che debuttò con Marrakech Express presentava il suo primo romanzo, Una questione di cuore (Feltrinelli). Titolo che la dice lunga. Trattasi infatti di storia impietosamente autobiografica, tra case troppo grandi e letti d'ospedale, tra amori senza sesso e compresse di Atenol. Sarebbe dovuta diventare un film di Paolo Virzì se alla fine, in attesa di tempi più propizi, il copione non avesse preso un'altra strada, complici le insistenze di Enzo Monteleone, altro padovano doc sceso a Roma per far cinema. Non è la prima volta che accade. Negli anni Sessanta L'impagliatore di sedie di Ottiero Ottieri, pensato per lo schermo, diventò un bel romanzo. Più di recente è accaduto a Il bacio della medusa di Melania Mazzucco e a La prima volta di Franco Bernini (presentato ieri sera): due valorose sceneggiature rifiutate dai produttori.
Certo, Contarello ha fatto le cose in grande. Da quell'esuberante vitalista che è (lo scellerato ha già ripreso a fumare e bere gin-tonic, alla faccia del cardiologo), ha chiamato tutti gli amici, che sono tanti, citandoli nome per nome nel colorato cartoncino di invito. Mancava solo Nanni Moretti, alle prese col primo ciak del suo Caimano. Diciamo alla rinfusa. C'erano i registi Michele Placido, Francesca Archibugi, Mario Martone, Paolo Virzì, Paolo Sorrentino, Carlo Mazzacurati, Alessandro D'Alatri, Mimmo Calopresti; gli attori Massimo Ghini, Fabrizio Bentivoglio, Giuliana De Sio, Paolo Rossi, Rocco Papaleo, Ricky Tognazzi; gli scrittori Marco Lodoli, Domenico Starnone, Francesco Piccolo, Niccolò Ammaniti, Francesca Marciano, Furio Scarpelli. Solo per dirne alcuni. Tutti riuniti, in una ressa bestiale da serata informal-vip, con capannelli esterni, per ascoltare i brani del libro letti, a rotazione, dai presenti. Incuriositi dall'arrivo inatteso di Salman Rushdie, volato a Roma per altre faccende.
Clima festoso, molto éngagé-intellettuale, in un andirivieni di persone e personaggi. Si dice, non a torto, che il cinema italiano odierno, rispetto a quello mitico degli anni Sessanta incline a ritrovarsi e discutere al ristorate, poco ami frequentarsi. Divisi per clan o orgogliosamente solitari, i nostri cineasti si sorridono volentieri in pubblico per poi spettegolare appena voltato l'angolo. Ma lunedì sembravano proprio sinceri nel rendere omaggio al neo romanziere, felice come una pasqua e deciso a prolungare il party fino a notte fonda. Con qualche ragione.

Perché il libro è bello, scritto senza fronzoli, perfino appassionante nel raccontare la «redenzione» di Alberto (alter ego di Umberto), sceneggiatore dalla vita sentimentale caotica, a un punto morto della carriera e alle prese con un infarto che gli addenta il torace come «il morso di una carpa sdentata». Nella realtà il meccanico conosciuto in corsia, l'amico che gli farà «auscultare» la voce oscura e limpida del suo cuore, non è morto, come invece accade nel libro. E anche questa è una buona notizia.

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