Claudio Ranieri è preoccupato. Molto preoccupato. Se va avanti così rischia di essere esonerato. Gli è già capitato al Chelsea, un secondo posto, la semifinale di Champions League, niente, fine del contratto, prego si accomodi. Gli è già capitato alla Juventus: terzo posto, quasi secondo e, a due giornate dal termine, idem come sopra, a casa, con i falsi ringraziamenti di rito. Adesso con la Roma le cose stanno sviluppandosi bene, anzi benissimo.
Da tredici giornate Ranieri è imbattuto, la Roma ha ottenuto più punti (33) di tutte e di tutti e in una classifica parziale guiderebbe il gruppo con 6 punti di vantaggio sull’Inter e 7 sul Milan. Date pure la vittoria alle due milanesi nelle partite da recuperare, Ranieri resterebbe primo comunque. Claudio 2 la vendetta, roba da film de noantri, a Roma stanno a farsi «’na panza de risate», a Torino vorrebbero nascondersi dietro un burqa nero senza il bianco.
La verità sta nel mezzo. Nessun miracolo, nessun mago della panchina. Claudio Ranieri è un uomo normale e questa è la dote sempre più rara in un mondo di predicatori, venditori di pentole, azzeccagarbugli. Aggiungete la dose di fortuna che, dicevano gli antichi romani ma non ancora romanisti, aiuta gli audaci e il conto è totale.
A Firenze per l’appunto si sono realizzate un paio di coincidenze e di congiunture significative: la Roma ha vinto con il vento alle spalle nel momento in cui sembrava destinata alla deriva e Ranieri ha tolto dalla partita, nel secondo tempo, il nono re di Roma, l’icona, il monumento, insomma Francesco Totti che stava incontrando troppi tacchetti e pochi palloni sulla propria strada. Così aveva saputo fare a Torino con Del Piero provocando allergie tra i romantici e nostalgici sabaudi. L’allenatore ha confermato la personalità necessaria per guidare un gruppo comunque forte e, assieme, astuto.
Ai tempi del Chelsea aveva spedito tra i ragazzini, che si allenavano su un campo adiacente a quello principale della prima squadra, Christian Panucci, il quale pensava di poter vivere di rendita soltanto per il proprio nome e cognome.
A Torino aveva resistito alle mazzate dei giornali e dei tifosi gentiluomini dietro i quali si nascondevano le belle gioie della società, le stesse che avevano proposto per il dopo Deschamps un elenco da fantacalcio: Mourinho (ma va? Con quali soldi?), Wenger (idem), Spalletti e Prandelli (sotto contratto con Roma e Fiorentina), la coppia lippiana Ferrara-Pezzotti, respinta. Poi è spuntato, quasi per caso, il nome di Ranieri che aveva appena salvato il Parma e stava trattando con il Manchester City. Una scelta per esclusione, dunque, dopo aver controllato il borsellino non il forziere. In questa voce la fortuna non sembra accompagnare Ranieri.
A Londra restò vittima del politburo di Abramovich dopo che era stato costretto a subire la sensibile riduzione del budget voluta dal presidente Ken Bates carico di debiti. In verità nelle prime due stagioni aveva fatto spendere 47 milioni di sterline per gli acquisti di Petit, Zenden, Jokanovic, Gronkjaer, Lampard e Gallas. Poi sarebbe arrivato anche Makelele ma non erano certo le carte di credito messe a disposizione di Mourinho, suo successore, dall’emiro russo Abramovich. Quando Ranieri venne esonerato, un collega inglese scrisse che per l’italiano era la liberazione da Guantanamo, questo era diventato lo Stamford Bridge di Londra.
A Roma, come a Torino, Ranieri non è arrivato sull’isola del tesoro o nella casa di zio Paperone, eppure la sua «normalità» è servita a ricostruire un gruppo che si stava guardando allo specchio, pensando di esistere e resistere per grazia ricevuta.
Il resto appartiene al destino, alla fortuna, agli episodi, al gol di rapina, al rigore non fischiato.
A Torino era capitato per caso per essere poi costretto ad andarsene nel momento sbagliato. Per fortuna sua e della Roma.
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