Il regime di Ahmadinejad non perdona il Nobel Chiuso l’ufficio della Ebadi

Lei vuole celebrare, seppur in ritardo, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, il governo di Mahmoud Ahmadinejad reagisce accusandola di attività illegali e spedendo la polizia a chiuderle gli uffici. Succede a Teheran, succede a Shirin Ebadi, l’avvocatessa iraniana - Nobel per la pace 2003 - in prima linea nella difesa di dissidenti e perseguitati. Il blitz di magistratura e polizia è scattato ieri mattina, a poche ore da un’annunciata manifestazione per ricordare il 60º anniversario della Dichiarazione dei diritti umani. L’anniversario risale allo scorso 10 dicembre, ma lasciando passare un paio di settimane Shirin Ebadi e i militanti del “Centro per la difesa dei diritti umani” sperano di sottrarsi ai controlli delle autorità e dar vita ad una dimostrazione di basso profilo. Non hanno fatto i conti con i severi controlli imposti dai servizi di sicurezza su un centro conosciuto per le sue attività in difesa di studenti ed oppositori del sistema. La polizia bussa alle porte del centro, fondato dalla Ebadi e da cinque legali, poche ore prima della celebrazione e fa irruzione negli uffici senza esibire alcun mandato di perquisizione.
«Sono entrati senza mostrarci uno straccio di documento hanno perquisito tutte le stanze, ci hanno chiesto di andarcene e hanno sigillato la porta d’ingresso» racconta Narges Mohammadi, numero due dell’organizzazione. «Le attività dei militanti per i diritti umani rendono così furiose le autorità da costringerle a ricorrere ad atti illegali per metter fine alle loro attività» accusa il premio Nobel che al momento dell’irruzione della polizia nel centro si trova nella sua residenza privata.
La scusa ufficiale per la chiusura degli uffici, ratificata da un mandato del procuratore di Teheran, è lo svolgimento di attività illegali e la mancanza dei permessi del ministero degli Interni indispensabili per svolgere attività politica o di propaganda. «Il Centro agiva come un partito, operava senza possedere le necessarie autorizzazioni, aveva contatti illegali con organizzazioni locali e straniere e organizzava conferenze stampa e seminari». La pretestuosità del mandato e la vigile solerzia di magistrati e servizi di sicurezza diventano, però, la cartina di tornasole delle insicurezze e delle paure del regime. I tre anni e mezzo della presidenza Ahmadinejad caratterizzati da una dilagante inflazione e da un progressivo impoverimento della popolazione iraniana hanno creato un diffuso malessere. La caduta dei prezzi del petrolio dopo anni d’investimenti spropositati nel settore della difesa e nella corsa al nucleare paralizza l’esecutivo rendendo assai complesse le tradizionali politiche di sussidi destinate ai cittadini in difficoltà. In questa situazione d’instabilità e malcontento qualsiasi segnale di dissenso rischia di trasformarsi in una protesta generalizzata. Per scongiurare quel rischio magistrati e servizi di sicurezza hanno l’ordine di spegnere sul nascere qualsiasi dissenso.

Ma il premio Nobel ha già fatto sapere di non esser disposta ad accettare le loro imposizioni. «Né io ne gli altri membri dell’organizzazione – ha annunciato ieri Shirin Ebadi - intendiamo chiudere il centro e continueremo tutte le nostre attività».

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