Il retroscena La Consulta verso il no alle nozze gay

RomaLa saggezza suggerisce alla Consulta un rinvio a dopo Pasqua della delicata decisione sul matrimonio gay. Una volta superate le elezioni, i 15 giudici costituzionali potranno pronunciarsi con più serenità sui ricorsi presentati da 3 coppie di omosessuali, alle quali non è stato consentito a Venezia e a Trento di sposarsi come volevano. Nella sentenza che arriverà non prima del 12 aprile diranno, per la prima volta, una parola chiara sulla questione.
Secondo le indiscrezioni che filtrano dal Palazzo sul colle, sarebbero davvero pochissime le possibilità di accoglimento. Alla Consulta si chiederebbe una inusuale pronuncia «additiva», che potrebbe andare oltre la sua competenza invadendo quella del legislatore. Molto più probabile è un respingimento, ma sarà importante vedere con quale formula e giustificazione. Anche per questo i giudici hanno preso tempo: la discussione inizierà il 12, ma ci vorranno probabilmente 2 giorni per definire la motivazione, che dovrà essere resa pubblica al più presto, per evitare strumentalizzazioni.
Se fosse dichiarata l’«inammissibilità» dei ricorsi, spiegano alla Corte, perché non è la Consulta ma solo il Parlamento a poter dire se il matrimonio gay può essere equiparato a quello tra uomo e donna, si lascerebbe comunque una porta ad un’eventuale legge in questo senso.
E invece, se si entrasse nel merito e si dicesse che la questione è «infondata», perché l’articolo 29 della Costituzione esclude già il matrimonio tra due persone dello stesso sesso, quella porta si chiuderebbe. Almeno, fino ad una modifica costituzionale per consentire una riforma del genere.
La partita si giocherà, a quanto sembra, tra queste 2 possibilità. Su apparenti sfumature di forma, che invece investono la sostanza del problema. E cioè: in Italia è possibile mettere sullo stesso piano matrimonio eterosessuale e gay, con una totale equiparazione come in Spagna, Olanda e Belgio o, al massimo, è possibile riconoscere forme di unioni diverse, secondo l’esempio dei Pacs francesi e tedeschi e di quelli che nel governo Prodi del 2007 le ministre Rosy Bindi e Barbara Pollastrini chiamarono Dico, salvo poi richiuderli nel cassetto, per le troppe polemiche?
Se la Corte sembra orientata verso il respingimento dei ricorsi, che pretenderebbero una dichiarazione di costituzionalità del matrimonio gay, è ancora molto incerto se la maggioranza sarà a favore dell’«inammissibilità» o dell’«infondatezza». «In questo momento - dicono alla Consulta - per dare una risposta così si può solo lanciare in aria la monetina».
Nella causa di cui è relatore il giudice eletto dalla Cassazione Alessandro Criscuolo, non giocheranno solo le alleanze politiche, le simpatie per il centrodestra tradizionale e il centrosinistra progressista, ma peserà anche la vocazione cattolica. Soprattutto ora che il Vaticano ripete incalzante il richiamo ai credenti a non appoggiare leggi contro la morale e i valori della famiglia, intesa naturalmente a senso unico.
Se nel Palazzo della Consulta si sa che oggi l’equilibrio del plenum presieduto da Francesco Amirante pende a favore dell’opposizione, è anche vero che in quelle fila ci sono almeno 3-4 giudici «cattolici di sinistra», che potrebbero rappresentare l’ago della bilancia. E determinare uno schieramento trasversale.
È un po’ una riedizione delle spaccature nel centrosinistra che affossarono i Dico. Di cui si ha un’eco anche ora, con il leader Pd Pierluigi Bersani che dice sì ad una regolazione delle convivenze anche gay e no all’equiparazione con il matrimonio, mentre lo storico presidente dell’Arcigay Franco Grillini (passato dai Ds all’Idv) lo accusa di «ingerenza in senso negativo» sull’Alta Corte.
Nell’udienza pubblica di martedì l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri, in rappresentanza della presidenza del Consiglio, ha detto che la competenza sui matrimoni omosessuali «è del legislatore» e non della Consulta.

E, rispondendo alla richiesta della legale di una delle coppie gay, Marilisa D’Amico, ha sostenuto che «non è immaginabile un’illegittimità della norma avvenuta per mutamento dell’evoluzione sociale e non è previsto né riconosciuto in nessuna norma di ammettere matrimoni tra persone dello stesso sesso». L’articolo 29 della Costituzione, che parla di «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», anche se non parla di uomo e donna, non è una «norma in bianco» ma implica la differenza dei sessi.

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