di Stefano Zurlo
Un grande salone ad anfiteatro. Tanti tavoli desolatamente vuoti. Qua e là un camice bianco chino sul malato: una pagina satura di storia, una pergamena, un cartiglio. Il blocco del turn over nella pubblica amministrazione non risparmia nemmeno loro: i restauratori dell'Archivio di Stato di Firenze, forse il più prestigioso d'Italia. Erano quattordici ai tempi delle vacche grasse, solo dieci anni fa o poco più, oggi sono una specie in via d'estinzione. Come i panda. L'ultima con contratto a tempo indeterminato è Marisa Morelli, in guerra con i tarli che si volevano mangiare le corrispondenze e i conti settecenteschi della famiglia Seminetti. Più in là c'è Angelo Donati, in pensione da sei anni e da allora volontario: «Questo è il mestiere più bello del mondo e così vengo qua tutte le mattine. Gratis. Non voglio che tutto finisca con noi, vorrei trasmettere qualcosa ai giovani, alle nuove generazioni, a chi seguirà i nostri sforzi». E infatti con Donati lavorano tre stagiste: una arriva da Buenos Aires, due dalla Spagna. Qualche mese e se andranno. Lasciando quegli spazi enormi ancora più vuoti.
PROGETTI FERMI
L'archivio misura 70 chilometri di scaffali. Sette e mezzo furono alluvionati il 4 novembre 1966, a quasi cinquant'anni la furia dell'acqua e del fango e del petrolio e di tutto quello che si scatenò in quelle ore è ancora una ferita aperta. Migliaia di pagine furono danneggiate, molto è stato recuperato, ma oggi i soldi non ci sono e i progetti sono fermi. Sembra impossibile ma nel 2015 ci sono due chilometri e mezzo di civiltà ancora impregnati di nafta e di fango, bisognosi di restauri. Di più, un chilometro è fuori uso. Di fatto illeggibile e non consultabile. Un vuoto nella cultura (...)
(...) e nella città di Dante che sembra interessare solo alla piccola cerchia degli studiosi.
Raccontano che Matteo Renzi, premier ed ex sindaco di questa città, non abbia mai messo piede in quel salone, non abbia mai parlato con il personale, non si sia mai soffermato su quei tesori che aspettano un mecenate, un salvatore, uno sponsor. Nulla di nulla, fra le citazioni preelettorali del dolce stil novo e della Commedia . Spiega Pietro Marchi, il funzionario colto e paziente che meglio conosce i guasti provocati dall'acqua: «Qualche anno fa ho preso in mano i quaderni dei capitani del popolo, documenti meravigliosi del Trecento e del Quattrocento che raccolgono le sentenze emesse dai magistrati in quei secoli. Si tratta di un centinaio di fascicoli, interessantissimi dal punto di vista storico e altrettanto suggestive sono le copertine, rarissimo esercizio di araldica medioevale, con tutti gli stemmi dei capitani che dovevano essere stranieri e rimanevano in carica per sei mesi. Speravo che qualcuno adottasse i capitani, finiti sott'acqua nel disastro del '66, quando l'archivio era agli Uffizi, ma al mio appello non ha risposto nessuno. Nemmeno un imprenditore. Eppure i capitani non costavano tanto: ciascuno poche centinaia di euro». Nulla. Niente dai privati. E zero da Roma.
La direttrice, Carla Zarrilli, fa i salti mortali per far quadrare i bilanci sempre più magri, anzi anoressici, e mantiene insieme al rigore il decoro e l'efficienza della struttura, inaugurata nel 1989 in un palazzo modernissimo, costruito ad hoc, ai bordi del centro storico, solo un po' soffocante per l'uso smodato del cemento. Ma quando si arriva al laboratorio di restauro e all'alluvione anche lei allarga le braccia: «Io ogni anno faccio i miei progetti, propongo a Roma i miei restauri, suggerisco questo o quell'intervento. Ma i soldi che mi arrivano mi servono per tamponare i guasti, per l'impianto elettrico, i vetri e gli infissi, la manutenzione ordinaria. Non per i capitani del popolo o per le carte del catasto ottocentesco, l'epoca di Firenze capitale, pure gonfiate dalle acque e dal fango. L'ultimo contributo, pari a 75mila euro, è stato erogato nel 2010 per i fondi del monastero di Camaldoli. Poi più nulla».
TESORI A RISCHIO
Carla Zarrilli e Sonia Cafaggini, sua stretta collaboratrice, mostrano con orgoglio alcuni dei tesori del complesso. Ecco una lettera autografa di Michelangelo: siamo nel 1559 e il pittore strepitoso della Sistina, ormai vecchio, declina garbatamente l'invito dei fiorenti che vorrebbero commissionargli la realizzazione di una nuova chiesa. Torquato Tasso invece è in cerca di raccomandazioni ai piani alti della corte medicea: vorrebbe scrivere per il Granduca e cerca la strada giusta, dimostrazione che il talento da solo non basta. Nemmeno quando si è destinati ad entrare nella storia. L'archivio è un susseguirsi di scoperte sorprendenti ed emozionanti: ecco il libro del Chiodo, con la condanna a morte di Dante. E poi su e giù per i secoli: le pergamene, gli stati civili, la prefettura. Storie grandi e piccole. I potenti e gli umili, le date epocali e la routine.
«L'archivio spiega Cafaggini se lo sai leggere è una miniera di dati, è un mondo vivo, da esplorare con umiltà e curiosità, è il racconto giorno per giorno della civiltà toscana». Quel concentrato ineguagliabile di arti e scienze che il mondo ci invidia.
E però, al di là della retorica sull'Italia e sull' italian way of life , quel patrimonio è lì che si arrabatta per sopravvivere. L'anno prossimo sarà mezzo secolo dalla piena spaventosa dell'Arno ma nessuno, almeno finora, si è preoccupato di mandare un segnale per celebrare adeguatamente quella ricorrenza: ci sono i comitati, non ci sono i soldi e così si torna al punto di partenza. Niente restauri, nemmeno un centimetro, se nessuno mette mano al portafogli. «E pensare spiega Donati che il nostro laboratorio nacque proprio dopo l'alluvione per riparare i danni provocati dall'acqua e da tutto quello che successe». Donati afferra una gigantesca pergamena del Quattrocento, devastata in quel novembre luttuoso. Il librone è diventato una specie di blocco unico, compatto e minaccioso. Impossibile o quasi aprire le pagine, il testo è invisibile. «All'epoca - prosegue Donati - l'inesperienza giocò un brutto tiro ai volontari che cercavano di salvare le opere d'arte immerse nella melma. Questa pergamena fu messa ad asciugare in un tabacchificio: errore gravissimo perché col caldo il collagene provocò un effetto colla appiccicando tutto quanto». Un disastro. «Ora si dovrebbe procedere per tappe: prima ammorbidire la pergamena, poi staccare le pagine, quindi provvedere al vero e proprio restauro». Possibile, ma a due condizioni: ci vorrebbero gli euro e gli esperti. «Attenzione - insiste Donati - con una spesa contenuta, qualche centinaio di euro, si potrebbe recuperare quasi tutto. Gli inchiostri usati nel Medioevo e nel Quattrocento erano molto forti, non erano idrosolubili e dunque con un buon intervento si tornerebbe a vedere quel che c'è in questo testo. E in tanti altri».
PENSIONATI AL LAVORO
Ma i tempi sono quelli che sono. La direttrice s'inventa soluzioni di ogni tipo per andare avanti: un progetto con la Provincia di Treviso per valorizzare la carte geografiche della Prima guerra mondiale, vista però dall'altra parte: «Si tratta di circa trecento mappe militari austriache. Quelle carte infatti sono bottino di guerra». E cento anni dopo l'idea è di far vivere loro una seconda giovinezza. Sono state digitalizzate, ora l'obiettivo è realizzare una pubblicazione. Si spera in un'intesa con la Regione Veneto, ma certezze non ce ne sono. Poi c'è la mostra su Giuseppe Poggi, l'architetto che disegnò la Firenze capitale, nel 1865. «È un'esposizione molto visitata e di grande successo». I fiorentini guardano allo specchio l'evoluzione della loro città, scossa il 3 febbraio 1865 dall'ingresso di Vittorio Emanuele, giunto in città col treno da Bologna. Nascono nuovi quartieri, migliaia di impiegati calano da Torino, le mura medioevali vengono abbattute, Poggi salva le porte, disegna i viali, si appassiona perfino al verde e alle piante. Una trasformazione impressionante, anche se Vittorio Emanuele, ci informano le cronache, si preoccupava più che altro per i suoi cavalli. «Devo ringraziare i vigili urbani in pensione che mi garantiscono il servizio di vigilanza», salvando così l'idea, altrimenti mortificata.
Soluzioni fantasiose, all'italiana. Mille idee, la sala per gli studiosi calamita per professori inglesi, americani, tedeschi che si avventurano e s'incuneano fra le mille pieghe della saga dei Medici. E se si gira dentro l'archivio si registra la presenza fissa dei borsisti di Medici Archive Project , la fondazione americana che da molti anni ha un team distaccato a Firenze con un'unica missione: studiare e mettere in rete l'epopea dei Medici.
Intanto Marisa Morelli combatte contro le muffe e tiene alto il vessillo della scuola fiorentina a 1.300 euro al mese. E Angelo Donati guarda con gli occhi colmi di trepidazione le ragazze che imparano a destreggiarsi fra colle e microscopi ma che presto migreranno altrove. Si combatte con le unghie e con i denti per non far scendere il sipario sul laboratorio di restauro: un gioiello tricolore che rischia di essere spazzato via.
Renzi non ha tempo per la storia della sua città. Come del resto non l'hanno avuta i suoi predecessori. E quel chilometro gonfio di acqua e detriti si avvicina al compleanno in silenzio. Sarà una festa senza candeline. Sarà una vergogna per l'Italia.Stefano Zurlo
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