Cultura e Spettacoli

Una scandalosa parigina al Polo Nord

Léonie d’Aunet era l’amante di Victor Hugo. Nel 1839 fu la prima donna a oltrepassare il Circolo Polare

Una scandalosa parigina al Polo Nord

«Che follia! Tornerete imbruttita». Ma cosa può importare la bruttezza a una fresca fanciulla francese di diciannove anni, già maritata, il cui sogno è fare il giro del mondo? È il 1839: Léonie Thévenot d’Aunet, parigina, istruita in convento, che conosce la musica, l’arte, la letteratura e parla correntemente l’inglese, vive da un anno in Place Vendome 8, nell’atelier del pittore François-Auguste Biard, che ormai la presenta in pubblico come sua moglie. Brutto (lo descrive Chopin), mediocre (lo bolla Théophile Gautier), quarantenne (lo dice l’anagrafe) e tuttavia protetto dal re Luigi Filippo d’Orléans, Biard deve la sua fama a Léonie. Léonie d’Aunet: che invece lei fosse «bella, giovane, spiritosa e realizzata» non lo disse il marito. E non lo disse il suo amante più famoso, «un illustre personaggio, che accumula gli allori del Parnaso, il mantello d’ermellino e il grado di Pari», ovvero Victor Hugo. Lo disse la sua rivale, colei che amò Hugo fino alla morte, Juliette Drouet, la Sultana dei salotti aristocratici francesi.
In quella primavera del 1839, Léonie è decisa. Nel salotto di casa incontra Paul Gaimard, botanico, scienziato, capo della Commissione Scientifica del Nord: sta organizzando una spedizione alle isole Svalbard, quasi al Polo Nord e cerca un pittore che documenti l’evento. Léonie è disposta a tutto per unirsi all’impresa e propone a Gaimard un elegante ricatto: convincerà il marito Biard ad esserne il pittore ufficiale se lei verrà accolta a bordo. Alle donne non è permesso salire sulle navi di Stato, ma a Léonie riesce tutto: nel giugno del 1839 la coppia Biard si imbarca a Le Havre diretta in Olanda. È l’inizio del viaggio descritto nelle nove, lunghissime lettere di Oltre Capo Nord. Viaggio di una donna allo Spitzberg, pubblicate per la prima volta in estratto nel numero di agosto del 1852 della Revue de Paris, che ospita tra gli altri testi di Gautier, Lamartine, Baudelaire, Balzac e George Sand. Le lettere, pretesto letterario indirizzato al fratello Léon de Boynest all’epoca dodicenne, vengono raccolte in volume nel 1854, volume riedito in Francia ben sette volte nei successivi trent’anni, e ora anche in Italia in una nuova traduzione di Alessandra Grillo per Voland.
Frutto dello spirito o pietra dello scandalo? L’enorme successo del libro di Léonie, unione postuma tra il taccuino di viaggio originale e un’effettiva corrispondenza tenuta durante la spedizione, documenti dei quali non è rimasto nulla, fu dovuto certo all’intelligenza e alla vivacità del resoconto e alla curiosità leggermente morbosa dell’alta società parigina per le tolette delle dame del Nord e per i sauvages lapponi, «animali immondi» abituati a ubriacarsi e meritevoli di disgusto e pietà. Fu dovuto anche all’apoteosi quasi mistica di sublime e monstruosus rappresentata dai ghiacci del Polo «che nessuna polvere ha mai sporcato, immacolati oggi così come il giorno della creazione», in mezzo ai quali «sembra di sentire il coro degli abissi del mondo antico preludere a un nuovo caos».
Ma certamente quel successo fu dovuto anche alla firma dell’autrice, Madame Léonie Biard. Biard, dal 1845, era infatti per Parigi e la Francia intera il cognome dello scandalo. Perché ai primi di agosto del 1845, un commissario di polizia accompagnato da François Biard irrompe in una camera ammobiliata del passage Saint-Roch e sorprende una coppia in flagrante adulterio. Lei, Léonie, verrà arrestata, rinchiusa a Saint-Lazare, carcere destinato alle prostitute e alle donne di malaffare, subirà un processo per adulterio e perderà la tutela dei figli e ogni aiuto economico. Lui, il galante visconte Victor Hugo, benché sorpreso «in conversazione criminale con la moglie di un pittore» e benché colpevole quanto lei, in virtù di «grandi discorsoni e dell’inviolabilità di cui gode per costituzione», come riportò il 10 agosto il giornale repubblicano Le National, viene subito rilasciato, evita la fuga di notizie che avrebbe provocato anche la rottura con la sua amante ufficiale Juliette Drouet e rimane a Parigi in incognito, per proseguire indisturbato la sua scalata in corso al potere politico.
Dopo averla cacciata dall’atelier nonostante sia appena nato il loro secondo figlio, Biard è riuscito ad evitare, con lo scandalo, di dover mantenere la giovane moglie. A favore di Léonie interverrà la duchessa d’Orléans, che sollecita Biard a chiedere per lei una riduzione della pena in cambio di cospicue commissioni. La fanciulla lascerà Saint-Lazare per entrare in convento, da dove a dicembre uscirà per rifugiarsi da una zia. E vendicarsi, inviando alla Drouet tutte le appassionanti lettere scambiate con Hugo.
«Avevo trentanove anni quando vidi quella donna./ Dal suo sguardo pieno d’ombra usciva una fiamma,/ e l’amai»: così Hugo ricorderà Léonie, molti anni dopo averla amata, molti anni dopo averla conosciuta nei salotti parigini e averle dedicato una copia del Rhin, su cui scrisse «A madame Léonie: on voit en vous, pur rayon, la grace a la force unie...». Anni nei quali, intanto, era diventata giornalista e scrittrice: articoli di moda e costume per riviste letterarie, il resoconto del viaggio alle Svalbard e poi romanzi, racconti, drammi. Tutti lavori che si nutrono della sua storia personale e che narrano la sofferenza provata dalle donne private dei figli, tradite dai mariti, costrette a subire violenze. Donne alle quali, in fondo, le lapponi dell’estremo Nord, unite ai compagni nell’affrontare le asprezze dei ghiacci in un rapporto semplice ma cristallino quanto mai, assomigliano davvero poco.

Costringendoci a chiederci, alla fine, chi fossero dunque i veri sauvages.

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