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«Scuole in Africa, così formeremo operai per l’Italia»

MilanoPensa ai ragazzi disperati del Cairo e di Casablanca che partono per l’Europa: «Dovremmo dare loro un segnale, una speranza, evitare che s’imbarchino come clandestini sui barconi che fanno rotta verso la Sicilia». E un’idea don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria, il carcere dei minori di Milano, ce l’ha: «Realizziamo con l’aiuto della Comunità europea e del nostro governo campus per giovani e giovanissimi: un anno di apprendistato nei loro Paesi e poi quei ragazzi saranno pronti per venire in Europa e noi saremo altrettanto pronti ad accoglierli. Un’iniziativa del genere sarebbe una novità importante».
Perché, don Rigoldi?
«Perché il problema è prevenire le tragedie del mare, gli annegamenti, i viaggi della speranza dei clandestini».
In concreto, cosa propone?
«Io prendo in esame due Paesi che più di altri esportano disperati in questo momento: Marocco e Egitto. A questo punto mi chiedo: perché non formare i ragazzi più meritevoli nella loro terra? Fermiamoli prima che partano».
In che modo?
«Basterebbe un anno circa di apprendistato. Un po’ di tecnica, manualità, educazione civica, i primi rudimenti della lingua italiana. Il tempo necessario per sgrezzare quei giovani e trasformarli da potenziale manodopera della criminalità in futuri lavoratori e cittadini».
Ottimista?
«No, realista. Potremmo così selezionare alcune centinaia di aspiranti artigiani e operai nei due Paesi, dare loro un minimo di educazione, di abilità tecnica, poi convogliarli in Italia o in altri Paesi della Ue, magari d’intesa con le associazioni delle imprese. Le nostre aziende, i nostri laboratori hanno bisogno di manodopera qualificata e in questo modo si potrebbe rispondere alle loro esigenze, ma anche dare una chance a giovani senza avvenire».
Quanti studenti potrebbero essere ammessi a questa scuole e con che criteri?
«È chiaro che dovrebbero essere presi i più meritevoli e questi istituti potrebbero essere gestiti da Organizzazioni non governative. L’ampiezza, naturalmente, dipende dai finanziamenti: io credo che con un milione di euro si potrebbe offrire un futuro dignitoso a circa 500 giovani. Si potrebbero creare due o tre centri in Marocco, altrettanti in Egitto».
La fascia d’età cui rivolgersi?
«I diciassettenni, ad un passo dalla maggiore età. Sia chiaro, questa iniziativa non toglierebbe nulla all’attività di contrasto dei clandestini. È irrealistico pensare di poter accogliere tutti, ma proprio per questo sarebbe utile invertire il flusso».
Che vuol dire?
«Appunto fare il contrario di quel che succede: andiamo là, noi europei, e mettiamo le basi di una vita migliore per i giovani di Alessandria o di Tangeri. E questa politica, lungimirante, l’Italia può svilupparla d’intesa con la Ue. La Ue non può far finta di niente e deve aiutare chi come noi è in prima linea e deve fronteggiare un fenomeno così drammatico. Insomma, credo che sia importante saper coniugare gli atteggiamenti giusti: rigore e accoglienza».
Oggi si parla soprattutto di rigore, perché in passato i controlli e i filtri non hanno funzionato.
«Ripeto: è utopia pensare di dare un tetto a tutti, allo stesso tempo perché non innescare un circolo virtuoso? I migliori potrebbero essere aiutati dalla Ue ad uscire dal loro destino di sfortuna e povertà. Oggi questa chance per chi vuole lavorare onestamente e non è un laureato o un tecnico specializzato non esiste.

Ma io dico: diamo questa possibilità e diffondiamo questo contagio positivo. Per questo mi rivolgo al Governo, al Parlamento e alla Ue: non fate cadere questo appello. Realizziamo tutti insieme questi campus e facciamo uscire una generazione senza colpe dai ghetti in cui è confinata».

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