«Se Algeri e Tunisi bruciano è colpa del modello sovietico»

«Il Maghreb brucia perché chiede benessere. Non pane». Il professore Franco Rizzi, il fondatore dell’Università per il Mediterraneo, che da anni si occupa del rapporto tra Occidente e Islam, guarda gli scontri nelle piazze e scuote la testa. Tunisia e Algeria, ma non solo. Si teme che tutta l’area possa prendere fuoco: c’è paura per l’Egitto, la questione dei copti, il Sudan, le votazioni per uno Stato autonomo del sud. L’Europa guarda l’Africa e ha paura. «Non possiamo continuare a guardare queste terre con i soliti pregiudizi dell’Occidente. Non è solo il pane quello che vogliono questi giovani. La loro è voglia di democrazia, di vita migliore. Sono ragazzi che hanno studiato all’università. E oggi hanno scoperto che non c’è posto nella società che li ha cresciuti».
Cosa è cambiato per scatenare la crisi?
«Il problema è proprio questo. Che non è cambiato nulla. Sono stati fatti degli sforzi, c’è stata una scolarizzazione di massa, è nata una classe media, ma il sistema è rimasto identico a quello di prima».
Che tipo di economia hanno?
«Un’economia di tipo statalista, di stampo sovietico. Soprattutto in Algeria. Lì le iniziative private sono molto ridotte, praticamente inesistenti. Il problema non è solo economico. Sono stati fatti degli sforzi di liberalizzazione ma senza grossi risultati».
E in Tunisia?
«Lì la situazione è migliore rispetto agli altri Paesi del Maghreb. A Tunisi per esempio la classe media esiste, i giovani laureati e colti sono il fiore all’occhiello della società. Per questo la rivolta in Tunisia ha meravigliato tutti. Ma il problema vero è un altro. Manca la libertà di pensiero. Il governo è riuscito a creare un incremento economico ma che non corrisponde a un livello culturale e sociale. È questo il vero paradosso. E ora la rabbia è esplosa».
Ora l’Europa rischia di pagare questa crisi?
«Al momento la crisi è interna. Se si riferisce all’immigrazione, quello è un problema che c’è sempre stato e non migliorerà di certo».
C’è il rischio che possa dilagare l’integralismo islamico?
«Certamente Al Qaida sta studiando queste manifestazioni. Cercherà di infiltrarsi tra l’esasperazione di questi giovani. Ma non dimentichiamo che i governi sono molto determinati contro il terrorismo e combatteranno con il pugno di ferro contro gli estremismi. E per l’Europa questa è una garanzia».
C’è una responsabilità dell’Europa dietro questa crisi?
«C’è una parola per riassumere l’atteggiamento europeo: miopia. L’Europa ha sempre preferito guardare a Est piuttosto che a Sud. E questo è stato uno sbaglio. Un errore strategico. Per anni abbiamo ignorato Paesi che dispongono di ricchezze enormi come gas e petrolio come l’Algeria a un’ora di aereo da casa nostra».
Nel suo libro L’Islam giudica l’Occidente lei si sofferma sul problema del post colonialismo. Sembra che non riusciamo a liberarci degli errori del passato
«Sì, l’Europa non ha mai trovato il coraggio di elaborare il lutto del colonialismo. Ha lasciato che questi Paesi si organizzassero senza aiutarli in modo concreto. La conferenza di Barcellona ha fallito, così come l’Unione per il Mediterraneo di Sarkozy. Da sempre l’Europa ha elaborato programmi astratti, fatti di parole a cui non sono seguiti i fatti. L’Europa non ha mai accompagnato questi Stati nel processo di democratizzazione. Ecco perché ora parlo di paradosso. Il nodo non è economico ma culturale. I meccanismi non possono essere solo economici».
La novità sembra questa: non è l'Occidente nel mirino, ma le oligarchie politiche del Maghreb.
«Il problema vero sono proprio i governi, democrazie ereditarie. Il dissenso giovanile parte anche da questa mancanza di dialettica democratica che lì non funziona. Sono Stati, specie la Tunisia, che hanno formato giovani colti ma che oggi non hanno la possibilità di esprimersi».
Quale futuro?
«Il problema resta il potere.

Oltre a Tunisia e Algeria ora si teme per l’Egitto: una polveriera pronta ad esplodere. Per funzionare davvero i governi dovrebbero essere davvero democratici. Ma per fare questo bisogna cedere potere. E chi è pronto a questo passo?».

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