Se Enrico Musso diventa l’anticorpo al trasformismo

(...) Ora - a parte il fatto che se davvero il Parlamento non facesse per Musso, se quella vacanza romana e quell’indennità da papparsi gli facessero così schifo, potrebbe sempre dimettersi - faccio notare una frase di Caporale: «Pur essendo berlusconiano» che sembra quasi una specie di diversità antropologica, un segno di inferiorità.
Ma ecco che, all’improvviso, dall’articolo del Venerdì spunta Supermusso, un supereroe senza macchia e senza paura: «Purtroppo, Musso è un caso isolato, un fenomeno straordinario, debole anticorpo della malattia italiana più antica e triste, il trasformismo».
E qui siamo al surreale. Più volte ho scritto su queste pagine, anche in contrasto con alcuni lettori che volevano più durezza nei confronti del senatore, che Musso non è il male assoluto. Anzi, a Enrico occorre dare dei meriti: ad esempio, quello di aver denunciato alcuni errori, orrori e degenerazioni del berlusconismo e di Berlusconi. Insomma, l’aver denunciato l’inopportunità della nomina di Aldo Brancher a ministro o la mancata raffinatezza dei buttafuori a villa San Martino, va a suo merito. Non è dicendo a Berlusconi che è alto, che ha tantissimi capelli e che frequenta suore orsoline che si fa il bene di Berlusconi. E, di fronte a tanti difensori che chiudono uno o anche due occhi, ben venga la capacità di dire che qualcosa non va. Anche perché credo che le critiche, serie, oneste e motivate al Cav siano il miglior modo di aiutare il presidente del Consiglio a fare ancora meglio.
Quindi, Musso su tante cose ha ragione. Ma è curioso che le sue critiche, i suoi distinguo e la sua attenzione all’inadeguatezza di Berlusconi arrivino dopo che è stato inserito da Scajola e dallo stesso Berlusconi in una lista bloccata, con l’elezione assicurata. I due talent scout, lo ricordiamo, furono Roberto Cassinelli e Franco Manzitti, allora capo delle pagine liguri de La Repubblica-Il lavoro, delle quali Musso era apprezzato editorialista. Apprezzato anche per le sue critiche a Berlusconi.
Insomma, Enrico ha una sua coerenza. Criticava Berlusconi prima che il Cav lo candidasse a sindaco e capolista al Senato nella lista «Berlusconi presidente» e lo critica ora. Si è fermato solo nel periodo delle elezioni, ma ci sta che, fra una critica e l’altra, fosse stanco. Vorrete pur concedergli un po’ di riposo, pover’uomo: è senatore, consigliere comunale, guida una fondazione, deve andare ai convegni dei finiani, parlare con gli udicini, partecipare agli abbracci di piazza e fare altre mille cose.
Ma, per l’appunto - e questo lo dico senza alcuna ironia, anzi con amicizia che, al di là delle diversità politiche resta - Musso è molto meglio del mussismo, la caricatura che ne fanno alcuni dei suoi fans, quelli il cui programma politico è «Grande Enrico, magico Enrico, mitico Enrico». Quelli che - da quando al suo fianco non ci sono più Marco Marchionni e Francesca Gnocchi, amici veri - l’hanno portato a una serie di errori incredibili: dalle interviste surreali, ai seguaci sparpagliati in mille rivoli, agli attacchi contro i tagliandini del Giornale, alle dietrologie sui «mandanti» di iniziative ed articoli, a cui è stato dedicato un impegno polemico incredibile. Se questa gente avesse messo una simile forza d’urto contro la Vincenzi e la sinistra, Genova sarebbe già nelle mani dei moderati.
Ribadisco per l’ennesima volta: Musso non è il diavolo e ha anche molti meriti. Ma, se il peccato originale è quello di chi l’ha messo lì - Scajola e Berlusconi - il peccato suo è quello di aver tradito la fiducia di chi l’aveva preso come un simbolo. E un simbolo ha molti più doveri di chiunque altro nei confronti di chi l’ha amato e votato. Anche quando vede qualcosa che non gli piace.
Poi, certo, Caporale potrebbe chiedere referenze ai colleghi di La Repubblica-Il lavoro e magari confrontarsi con Raffaele Niri, ottimo giornalista e persona doc, facendosi mandare l’intervista del presidente della Provincia Alessandro Repetto sul tema «Musso e le consulenze».
L’unica cosa che chiediamo - in un mondo dove le parole perdono il loro significato - è quello di evitare trattare Scilipoti come un essere spregevole e Musso come un eroe. O di parlare di Musso come «anticorpo del trasformismo». Perché, dopo che è stato il capolista con il simbolo «Berlusconi presidente» è tecnicamente legittimo (nel senso che è permesso da regolamenti parlamentari e Costituzione) che cambi idea, gruppo e che voti anche contro la fiducia a Berlusconi.


Quello che non è legittimo (e su questo Musso non c’entra assolutamente nulla, l’articolo non l’ha scritto lui) è che - dopo il suo passaggio dal Pdl, al gruppo misto e poi al gruppo Udc in quota Pli - lo si indichi come un modello e anticorpo contro il trasformismo. Con sprezzo del ridicolo. O mancanza di qualche Venerdì.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica