Sebben che siamo DONNE...

Dovrà passare forse altro tempo prima che sia saldato del tutto il conto con le donne dell’arte. Naturalmente, non si tratta solo di un debito della storiografia critica, ma di una questione anche quantitativa, persino statistica, esito di un atteggiamento inveterato e di un sopruso, che condizionamenti e convenzioni sociali, per secoli e fino a ieri, hanno imposto, facendo considerare normale l’esclusione delle donne dall’attività artistica, o eccentrica la loro partecipazione. Ancora in pieno Umanesimo, la donna artista è una sorta di mirabile monstrum e solo a partire dalla metà del ’500 la donna artista si apre faticosamente la strada come figura autonoma.
Oltre a fornire occasione di godimento estetico per la qualità e la scelta delle opere, servirà certo a saldare un altro po’ dell’antico debito discriminatorio, la mostra che si apre dopodomani a Palazzo Reale di Milano, «L’arte delle donne: dal Rinascimento al Surrealismo» (catalogo Motta), con 200 opere di 110 artiste, da Sofonisba Anguissola ad Artemisia Gentileschi, da Lavinia Fontana a Marietta Robusti Tintoretto, da Rosalba Carriera ad Angelika Kauffmann, da Camille Claudel a Frida Kahlo e Tamara de Lempicka e Natalija Goncarova. A scorrere il lungo elenco delle presenze, fa piacere trovarvi artiste care e poco frequentate, come Vanessa Bell, la sorella maggiore di Virginia Woolf, e Dora Carrington, della quale persino a Londra il grande pubblico non saprebbe molto, se non fosse stato per una bella mostra a lei dedicata al Barbican nel 1995. Un ulteriore arricchimento sarebbe stata forse, accanto alla presenza della fondamentale Goncarova, quella di altre pittrici che scavarono con un misto d’ironia e di passione tra neo-primitivismo, suprematismo e futurismo, come la Popova e la Stepanova, protagoniste, con altre, di una mostra londinese dedicata, alcuni anni fa, alle donne dell’avanguardia russa.
E il genere artistico meno consentito alle donne, la scultura? Giuliano da Sangallo, all’inizio del Cinquecento, sentenziava che «per quante donne sono per la Fiandra e per la Francia e ancora in Italia, le quali dipingano in modo che i loro quadri di pittura sono tenuti in buon pregio... mai si trovò che donna alcuna lavorassi di marmo». Eppure in quegli anni era attiva e nota a Bologna Properzia de’ Rossi che di lì a poco, nella formella commissionatale per un portale del duomo, Giuseppe e la moglie di Putifarre, ebbe l’impudenza di rappresentare se stessa (a quanto ritenne il Vasari) nella tentatrice di Giuseppe, raffigurato a sua volta nei tratti di un giovane di cui Properzia era allora innamoratissima.
La frustrazione amorosa e la sudditanza sembrano il marchio di Camille Claudel, sorella del poeta Paul, e la maggiore scultrice che l’Europa abbia avuto fino al primo Novecento. Allieva, musa, modella e amante di Rodin, Camille aveva un talento straordinario, che sembrava intrecciarsi con quello del maestro, scultore ufficiale di Francia. Per Camille, non poteva esserci che la sconfitta, proprio nel tempo dei suoi esiti d’arte più clamorosi, cui seguirono i lunghi anni dello smarrimento e della follia.
E non era stata meno emblematica la storia di Artemisia Gentileschi, nata a Roma nel 1597, figlia di Orazio Gentileschi, amico e precoce seguace del genio fulminante del tempo, il più giovane Caravaggio. Più che di «caravaggismo» ereditato dal padre, al quale la critica ha attribuito finora superiorità d’arte rispetto alla figlia, si dovrebbe parlare forse di un’Artemisia come altro-Caravaggio, basti pensare a Giuditta e Oloferne. Oltraggiata nell’onore e nell’amore da un tristo paesaggista, Agostino Tassi, che la violentò, svillaneggiata in un processo pubblico, costretta a una lotta costante con la vita, fu, secondo le parole di Anna Banti che le dedicò un bellissimo libro, «una delle prime donne che sostennero colle parole e colle opere il diritto al lavoro congeniale e a una parità di spirito fra i due sessi».
Ci si riapre il cuore pensando a una pittrice non meno grande ma di sorte più piana. Sofonisba Anguissola, benché preferisse presentarsi al pubblico come virgo bene educata, nell’Autoritratto al cavalletto mette in scena se stessa mentre dipinge. Nella Partita a scacchi, dove gioca con le sorelle, mette in scena quel senso di misteriosa e pacata preziosità della cerchia familiare.

In una parola, quella «realtà conquistata», segno della modernità sorta con il Rinascimento.
LA MOSTRA
«L’arte delle donne: dal Rinascimento al Surrealismo». Milano, Palazzo Reale, dal 5 dicembre al 9 marzo. Info: 0280509362.

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