Seggi in spiaggia e schede ai morti: ecco il grande caos del voto all’estero

Dai Caraibi al Belgio, più di 3 milioni i connazionali coinvolti, frequenti le irregolarità. E a decidere saranno i giudici

Seggi in spiaggia e schede ai morti:  
ecco il grande caos del voto all’estero

Milano - È la solita storia. Le schede adagiata sulla sabbia soffice di qualche spiaggia esotica. I quesiti referendari che inseguono i morti e dimenticano i vivi. Foto e testimonianze raccolte nei cinque continenti documentano una situazione da Terzo mondo. O quasi. Il voto degli italiani all’estero diventa anche in questa tornata un rebus di difficile soluzione. Sulla carta i nostri connazionali chiamati alle urne sono 3 milioni e 299.305. Ma la realtà è un’altra cosa: pacchi di schede che non arrivano a destinazione, liste stravecchie, manco fossero cognac, in cui compaiono persone defunte da anni e anni. E poi un atteggiamento, chiamiamolo così di disinvoltura globale, dal Belgio a Santo Domingo.
Il punto è che si vota, anzi si è già votato (fino al 2 giugno), per corrispondenza. Non esistono i seggi, non esistono le urne, non esiste niente di niente. Solo la buona volontà. E allora può succedere di tutto, come documenta la foto scattata a fine maggio a Santo Domingo, meta ambita dall’industria delle vacanze. Come si vede, il signore in questione, in costume, ha piazzato le schede su un tavolino, vicino a un mazzo di carte e a qualche boccale di birra. Siamo in un chiringhuito, uno di quei chioschi in cui si può mangiare e bere in allegria. Ma il chiringhuito è stato eletto anche a seggio volante. Il voto è, senza ironia, trasparente: basta dare una sbirciatina per conoscere gli orientamenti del vicino, in bermuda e infradito. Altro che privacy. Altro che cabine sicure, in cui non può entrare nemmeno un telefonino.
«È caos mondiale - spiega il direttore del portale Italia chiama Italia Ricky Filosa - dalle Americhe all’Australia si parla di forti irregolarità ed errori grossolani: plichi mai arrivati o arrivati a persone morte e sepolte. Schede che arrivano a indirizzi dove ormai non abita più nessuno; e schede, che al contrario, non arrivano a chi avrebbe diritto ad esprimere le proprie preferenze». Esagerazioni?
I racconti confermano puntualmente questa analisi disastrosa. La signora Paola Buscemi ci porta nei dintorni di Bruxelles: «A fine maggio sono andata in Belgio, nell’abitazione dei miei genitori. Papà è morto nove anni fa e mamma da sei anni. Bene, quando ho aperto la cassetta della posta ho trovato le buste con le schede a loro indirizzate. Questa vicenda mi offende: non si ha rispetto per chi non c’è più. Io quando papà è morto mi sono preoccupata di avvisare tutte le autorità, compreso il suo comune di nascita, in Sicilia. E la stessa cosa ho fatto quando è mancata mamma. Non solo: avrei potuto votare al posto loro, rimettere le schede nelle buste e spedirle indietro». Purtroppo la denuncia della signora Buscemi non è isolata. Le opinioni dei nostri connazionali rischiano di essere falsate da brogli, condizionamenti, sviste e ritardi della macchina burocratica. Di chi è la responsabilità? «La colpa maggiore - aggiunge Filosa - è dei comuni italiani: infatti, pur essendo l’elettore registrato all’anagrafe consolare, non è registrato all’Aire del proprio comune di residenza italiano».
Così può succedere di tutto, come in una commedia degli equivoci alla Plauto. E questa volta, pasticcio nel pasticcio, gli italiani in terra straniera hanno dato il loro parere su una legge, quella sul nucleare, che non c’è più. Un paradosso che arriverà fino in Cassazione.

Il 16 giugno l’ufficio centrale della Suprema corte si riunirà e valuterà i molti ricorsi presentati con un unico obiettivo: non conteggiare ai fini del quorum quei 3 milioni e passa di voti potenziali ma ballerini. Così, a decidere le sorti dei referendum potrebbero essere i giudici. Come spesso succede nel nostro Paese.

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