Settembre da «MiTo» con Muti, Mehta, Battiato e tanto jazz

Musica gratis o a prezzi popolari. Isozaki al Palasharp con Beethoven

da Milano

Milano chiama e Torino risponde. O meglio, sbarca con il suo SettembreMusica (trent’anni di vita) e un logo dettato dalla par condicio pronto a confermare la volontà di collaborazione fra le due città del Nord. Ecco MiTo, il festival di musica di tutte le sfere, classica, pop, rock, etnica, con incursioni nel teatro e nella danza, pronto a segnare la vita culturale di Milano e Torino da oggi al 27 settembre. Un ponte voluto da Milano, Palazzo Marino e il finanziere Francesco Micheli in testa. Un gemellaggio che soddisfa l’esigenza di Milano di dotarsi di un evento catalizzatore e che offre alla manifestazione di Torino, diretta da Renzo Restagno, un decollo internazionale.
Parlano i numeri. 190 concerti, 70 sedi, un pugno di orchestre di bandiera, vedi la Filarmonica scaligera con Gatti. E complessi venuti da lontano: dalla Chicago Symphony che diretta da Muti il 26 chiude il Festival a Torino, alle tedesche Staatskapelle Dresden con Luisi, Bayerisches Staatsorchester con Nagano e la compagine del Gewandhaus con Chailly. Più la Israel Philharmonic e Mehta che inaugurano il 3 a Torino e l’indomani alla Scala. Bella passerella di solisti, Argerich, Ughi, Chang eccetera, musica barocca d’autore, Rilling e la Bachakademie di Stoccarda, Ian Bostrige, ci si spinge pure nel Medioevo di de Machault. Finestre aperte sulla musica contemporanea, che per il 2007 è quella made in Corea, ma si saggia pure la canzone napoletana di Renzo Arbore, le sperimentazioni di Battiato e il jazz d’autore (da Intra a Trovesi). In breve, MiTo abbatte le barriere fra generi e spazi coinvolgendo le sale di rito, Scala, Lingotto, Regio, Arcimboldi, ma anche Palazzo Affari, Castello sforzesco, Università...
Dieci milioni di euro messi in campo, per la metà di fonte pubblica ovvero stanziati dai due Comuni. E la formula dovrebbe ripetersi in futuro o almeno questo è ciò su cui punta Micheli. «Sì, la volontà è quella di attingere a risorse pubbliche e private puntando, inoltre, su costi popolari: sei appuntamenti su dieci sono gratuiti. A questo punto è motivato anche l’intervento pubblico. È vero, Martha Argerich viene spesso in Italia, ma noi offriamo il suo concerto a un prezzo popolare. Così come, con i concerti al PalaSharp e al Palaolimpico di Isozaki con partiture come la Terza e Quinta Sinfonia di Beethoven, intendiamo condurre alla classica un nuovo pubblico, quello di cui ha bisogno la musica d’arte».
Cosa risponde a chi definisce Mito un Festival nato vecchio? «Che, semmai, la formula è nuova. Diamo spazio a tutti i generi, ogni anno a un diverso Paese extraeuropeo e alla musica contemporanea. Poi puntiamo sui giovani, nel team operativo l’età media è sotto i trent’anni: le porte sempre troppo strette che bloccano i giovani con MiTo si allargano. Applichiamo inoltre un metodo di gestione aziendale, io credo che la cultura necessiti del contributo pubblico ma bisogna pianificare in modo oculato e non spendere senza criterio pretendendo di rifarsi con i contributi pubblici».
L’idea di MiTo ha iniziato a circolare in febbraio, la manifestazione è stata messa su in un baleno ma già si lavora alle prossime edizioni con proiezione verso il 2010.

Micheli conta di portare al di qua delle Alpi i Berliner, ma anche Riccardo Muti a Milano: «Mi ha promesso che ci pensa per l’anno prossimo. Già quest’anno la Chicago era disponibile ma lui, e lo capisco, no», spiega Micheli che sta pure progettando un altro colpo grosso. Il nome è il solito: Claudio Abbado.

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