Gian Micalessin
«Te ne devi andare». In Israele non sanno più come farglielo capire. Non sanno più come liberarsi di quello che appare come un satiro canuto che un errore della storia fece diventare presidente. Moshe Katsav resta lì, attaccato come una cozza alla poltrona presidenziale, arroccato alla Beit Hanassi trasformata da dimora presidenziale in grotta degli orrori. Là dentro si sono consumati, a dar retta alle accuse della polizia, le violenze, lo stupro, gli atti osceni commessi da questo presidente 60enne, padre di cinque figli, ai danni di altrettante donne del suo staff. E non è tutto. Andando più indietro nel tempo i tentativi di stupro e violenza potrebbero anche raddoppiare. C’è quanto basta per far vergognare Israele, per indurre il procuratore generale Menachem Mazuz a scrivere nero su bianco che il presidente se ne deve andare.
Menachem Mazuz dovrebbe, in verità, tacere. Spetta a lui decidere se le accuse della polizia sono fondate. Spetta a lui, entro qualche settimana, firmare l’eventuale incriminazione del presidente. Spetta sempre a lui, però, salvare il Paese dall’onta di un presidente impresentabile. A tirarlo per la giacchetta è la Corte suprema, testimone esterrefatta di una commedia senza soluzione. Una settimana fa la Corte aveva chiesto al presidente i motivi delle sue mancate dimissioni. Come dire: spiega perché non ti togli dai piedi immediatamente invece di attendere l’atto ufficiale d’incriminazione. Non avendo ricevuto alcuna risposta ha chiesto un parere giuridico al procuratore generale. Mazuz per carità di patria non si è potuto tirare indietro. Così da ieri la sua opinione, un invito a traslocare quanto prima da Beit Hanassi, è di dominio pubblico. «Quando è in corso un’inchiesta di polizia contro il presidente connessa a gravi accuse criminali il cui carattere e la cui essenza sono disonorevoli, il presidente deve prendere un periodo di temporanea assenza rivolgendosi alla Knesset affinché stabilisca un’incapacità temporanea».
La risposta di Mazuz viene considerata l’ultima offerta prima dello sfratto forzato. Quello sfratto dovrà essere decretato dal Parlamento in una seduta considerata umiliante per l’intera nazione. Il concetto è stato ribadito anche dal deputato Ruhama Avraham, capo della commissione affari interni della Knesset incaricata di avviare l’eventuale procedura d’impeachment. All’invito di Mazuz si è aggiunto quello di due ministri. Tutto inutile: ieri sera Katsav ha ribadito in un comunicato di essere innocente, che contro di lui c’è un complotto, e che si rifiuta quindi di dimettersi.
Nessun politico nella storia di Israele è mai stato accusato di crimini così gravi e infamanti. Nessun politico ha mai dimostrato tanta insensibilità e distacco come quel presidente d’origine iraniana arrivato alla Beit Hanassi dopo un’oscura carriera da comprimario nelle file del Likud. Interrogato per ore e ore dalla polizia, Katsav ha sempre parlato di un complotto ai suoi danni. Un complotto di cui - ha spiegato il procuratore generale Mazuz quando ha accettato di esaminare le richieste di incriminazione della polizia - vi sono ben «magre prove». Molto più circostanziate sembrano invece le accuse della signora A., l’ex dipendente del presidente, che dice di essere stata costretta a far sesso con lui sotto la minaccia di licenziamento. Quell’accusa ha dato la stura ad almeno una decina di denunce per violenza e molestie. Non pago, il presidente avrebbe anche tentato, secondo i rapporti di polizia, di intimidire testimoni, distruggere le prove e bloccare le indagini, aggravando ancora di più la sua posizione.
E come non bastasse, ieri è arrivata la notizia che Mazuz ha ordinato alla polizia di indagare anche sul premier Ehud Olmert, per verificare se abbia compiuto attività illegali, favorendo un suo amico nell’ambito della privatizzazione della Banca Leumi, la seconda di Israele.
Ytzhak Rabin, di cui il 4 novembre ricorre il dodicesimo anniversario dell’assassinio, si sta rivoltando nella tomba.
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