Milano - Il governo scruta il cielo, incrocia le dita e temporeggia. Oggi dovrebbe dichiarare lo stato di emergenza per le regioni del Centro-Nord colpite dalla siccità ma, ma dopo giorni di catastrofismo, la decisione non è più così scontata. Nell’ordine del giorno di Palazzo Chigi, l’argomento è addirittura sparito. Colpa, o merito, della pioggia. Il maltempo che ha investito gran parte dell’Italia, infatti, proseguirà per almeno altre 36 ore e potrebbe provocare una battuta d’arresto sulle decisioni politiche.
Un’ipotesi confermata anche dal ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio: «Sulla questione si sta discutendo ancora, ci sono riunioni tecniche per valutare la portata delle piogge di questi giorni, ma è notorio che non possono sopperire alla carenza di piogge autunnali e invernali». Il ministro sembra orientato a offrire più autonomia alle regioni per gestire una eventuale carenza idrica, ma come lui stesso ha precisato: «La valutazione su tempistica e risorse spetta alla presidenza del Consiglio». È dunque possibile uno slittamento della scelta da parte di Prodi, a cui avranno già sottoposto le previsioni del tempo elaborate dal Dipartimento della Protezione civile. Che sono bruttine, con piogge intense, temporali e forti raffiche di vento prima al centro nord e poi al Sud.
E il mese di maggio non sembra promettere solo rose. Gli esperti parlano di «un possibile arrivo di ulteriori perturbazioni nelle prossime settimane» che potrebbero in qualche modo ristabilire la riserva idrica. La pioggia di questi giorni, del resto, ha già fatto risalire il livello di molti laghi. E il fiume Po, in soli 24 ore di pioggia, è salito di un metro e mezzo al Ponte della Becca, dove confluisce il Ticino.
Ma certo le carenze sono strutturali e serve di più. La Protezione civile si affretta a precisare che queste precipitazioni, nonostante la forte intensità, «non dovrebbero comunque compensare il deficit idrico accumulato nei mesi scorsi». E dunque il tormentone dell’emergenza siccità per ora non svanisce. Ma tutti gli esperti parlano al condizionale.
Il gestore della rete di trasmissione nazionale di energia elettrica, Terna, si prepara comunque al peggio e ha già preparato il piano d’emergenza per evitare il back out estivo. Dall’azienda spiegano che mancano all’appello ben 8000 Mw da recuperare in diversi modi. La metà può venire da una migliore gestione delle riserve idriche. Altri 2000 Mw dall’estero, 1000 si recuperano con accorgimenti tecnici e altri 1000 dovrebbero essere risparmiati dalle aziende.
Un quadro che non piace a Confindustria. Il direttore generale, Maurizio Beretta, ieri ha lanciato l’allarme e ha dichiarato che le aziende «non possono accettare distacchi». Serve, secondo Beretta «un piano credibile che abbia priorità condivise» per affrontare l’emergenza siccità. Ma da Terna respingono il veto di Beretta. E i tecnici spiegano che la cosiddetta interrompibilità del carico di energia in circa 180 grandi aziende del paese è una clausola contrattuale che viene sottoscritta da diversi anni e compensata economicamente. In pratica, alle aziende che accettano l’interruzione in tempo reale viene corrisposto 21 euro per ogni Mw ora.
Mentre se nel contratto è previsto un preavviso di 15 minuti, il compenso scende a 8 euro all’ora. Questo meccanismo di riserva del sistema elettrico costa 400 milioni di euro. Cifra che viene accollata agli italiani, attraverso le bollette.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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