La sinistra vive di sogni la destra ha i piedi per terra

Caro Granzotto, sono uno studente e seguo con passione la campagna per le presidenziali Usa e le vicende politiche del Paese senza preconcetti anche se la mia formazione è di destra moderata. E mi chiedevo: esiste ancora una sinistra? Fino al 1989, caduta del muro di Berlino, le posizioni e contrapposizioni destra-sinistra erano molto chiare: da una parte la destra che si identificava con il liberalismo, con il capitalismo e il libero mercato, dall’altra la sinistra che si identificava nel marxismo, nel collettivismo e nella emancipazione del lavoro dalla oppressione del capitale (la dittatura del proletariato). Oggi invece se si analizza la politica di Barack Obama o di Walter Veltroni troviamo solo della socialdemocrazia liberale che salvo in piccoli e insignificanti dettagli si potrebbe definire tranquillamente di destra. Ma allora la differenza dove sta? Nelle parole? E come definirebbe il concetto di «change» che è alla base della politica di Obama?


Di Obama e di Veltroni, caro Vittorio, che ha subito fatto suo anche quest’ultimo capriccio dei democratici americani (ai quali convenientemente McCain replica: «Il vero cambiamento sono io!») proponendosi e proponendo il suo traballante partito come il campione, appunto, del «cambiamento». Parole. Solo parole, perché in cosa dovrebbe consistere questo cambiamento né Obama e tanto meno Veltroni l’hanno spiegato. Se non riferendosi ai luoghi comuni della demagogia progressista: l’egalitarismo coatto, più spazio alle donne e ai giovani, primato del dialogo e dei pannelli solari. Tutte cose belle, ci mancherebbe, ma vaghe o utopistiche. Appartenenti alla catasta di sogni che costituiscono il bagaglio politico e culturale della sinistra (e chi sogna dorme, caro Vittorio. E chi dorme, si sa, non piglia pesci). Oltre tutto il concetto di cambiamento, sia come norma sia come proposito, non è mai appartenuto al vocabolario della sinistra. La sinistra, intendo quella di matrice comunista, non si proponeva un cambiamento, non intendeva modificare la società, l’ordine delle cose, ma rinnovarlo, ricostruirlo da cima a fondo plasmando l’«uomo nuovo» con una nuova morale. «Cambiamento» è, semmai, parola che appartiene al vocabolario del fascismo. Non solo nella pratica - «cambiamento di rotta», «cambio della guardia» - ma anche nella grammatica ideologica. Il fascismo, sono parole di Mussolini, era «un metodo, non un fine», era «una grande mobilitazione di forze morali e materiali per assicurare la grandezza morale e materiale del popolo italiano» rifuggendo «da tutto ciò che è ipoteca arbitraria sul misterioso futuro».
Ecco, caro Vittorio: forse in questo, nell’ipoteca sul futuro, si può oggi ancora distinguere la destra dalla sinistra. Per la quale il sole resta sempre quello dell’avvenir. Per la quale gli intenti e le mete appartengono, per lo più, alla categoria dei sogni - I have a dream! -, ai vagheggiamenti della fantasia.

Sognare ad occhi aperti non è certo un misfatto, se però se lo si traduce in politica allora diventa qualcosa che assomiglia molto al raggiro, alla musica suonata dal pifferaio di Hamelin. Anche la destra, naturalmente, guarda al futuro, ma lo fa tenendo i piedi in terra. E non avendo l’ambizione, come la ebbe e l’ha la sinistra, di governare la storia, senza metterci, sul futuro, il cappello sopra.

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