«Le soffiate? Vizio delle toghe italiane»

Gargani: «Fanno circolare di tutto, si credono svincolati dalle leggi e non rispondono mai»

da Roma

«Bruti Liberati? Sì, ho letto e credo che se ne finirà per parlare in commissione... ma sa che c’è? Che secondo me anche in questo caso non è altro che il riemergere del vecchio vizio di tanti magistrati i quali, ritenendosi al di sopra di ogni legge e di ogni regolamento, fanno circolare di tutto...». Giuseppe Gargani, presidente della commissione Giustizia all’Europarlamento pare non troppo sorpreso dell’indagine avviata dall’Olaf sul precedente Comitato di Vigilanza allora guidato dal Procuratore aggiunto di Milano per la fuga di notizie riservate dagli uffici dell’anti-frode comunitario. Non punta un indice contro l’ex-presidente dell’Anm, anche perché aspetta le risultanze dell’indagine avviata, ma fa capire di non escludere qualche carenza di una mancata sorveglianza.
Mi faccia capire, Gargani: se lo aspettava?
«No, ma che un vizio italiano potesse infettare l’Europa forse era da mettere in conto. Perché, diciamocelo chiaramente, i giornalisti tirano fuori dossier riservati, ma le soffiate le ricevono da altri. O no?».
E di possibili soluzioni in vista per combattere questa deviazione, ne intravede?
«Una classe dirigente davvero autonoma e indipendente - parlo dei magistrati - dovrebbe dotarsi di regole serie e rigide sulla materia approfittando del fatto che la legge vieta espressamente le fughe di notizie. E invece, nulla! I magistrati italiani fanno i processi e ritengono di essere svincolati da ogni regola. Anche gli interna corporis non funzionano: l’Anm, di cui Bruti Liberati è stato recentemente presidente, non ha fatto proprio nulla e nel Csm il disciplinare è solo materia di ripicca tra correnti. Se serve le elenco una nutrita serie di casi in cui lo si vede con estrema chiarezza».
Nulla da fare, allora?
«Il punto è che bisognerebbe installare nei loro cervelli la nozione per la quale ogni istituzione deve rispondere dei suoi atti agli altri. Io, da presidente della commissione Giustizia, rispondo a coloro che ne fanno parte, ma anche all’esterno. So che ci sono alcune cose che non posso fare o dire perché me lo impone questo ruolo. Tra i magistrati italiani - e speriamo che l’infezione non si allarghi in Europa - c’è la presunzione di “separatezza” da tutto il resto, quasi di onnipotenza. Per cui non mi meraviglia che alcuni di loro facciano uscire carte riservate, indagini che paiono bombe ad orologeria, iscrizioni nei registri che lasciano il tempo che trovano... È diventata una sorta di patologia: un tarlo che alligna ormai nella magistratura e che oscura tra l’altro le sue qualità, che pure esistono».
Né la politica può fare più di quanto ha fatto.

O sbaglio?
«Abbiamo approvato una riforma dell’ordinamento giudiziario, nel nostro paese, che prevede regole puntigliose, financo “cattive” su questo aspetto. Quello che si poteva fare, è stato fatto. Adesso tocca a loro, ai magistrati, se davvero vogliono difendere autonomia e indipendenza».

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