SOLDATI Cinema primo amore

A cent’anni dalla nascita, esce «Cinematografo» che raccoglie articoli e racconti dello scrittore su cinema e dintorni

Del nostro grande cinema si son dette tante belle cose, dopo che non c’era più. Se ne son dette anche di Mario Soldati (1906-1999), soprattutto finché lui c’era ancora; e anche cose brutte, che lo lasciarono apparentemente impassibile. L’ultimo Prezzolini riferì sul Borghese che Soldati passava le notti nella biblioteca della Casa Italiana di New York un po’ troppo stretto a Henry Furst... Fatti del 1930. Nel 1980 certo senza eco profonda in chi nel 1929 aveva pubblicato lo stupendo e morboso Salmace. Allora perché l’intempestiva delazione prezzoliniana?
Dalla raccolta di articoli e racconti che Domenico Scarpa cura col titolo Cinematografo (Sellerio, pagg. 506, euro 14), si può dedurre una precedente minima traccia di quell’astio, ma di Soldati verso Prezzolini: «Sarebbe una stupenda tesi di storia cinematografica - scriveva sull’Europeo nel 1964 - elencare \ i vigliacchi interpretati da Gassman \. E la morale che se ne ricava non può, ahimè, non essere un giudizio molto pessimista sugli italiani di oggi: lo stesso giudizio che, tutto sommato, ne danno Prezzolini (corsivo mio, ndr) e Montanelli. O, per tornare al cinema, registi come Zampa, Risi, Scola e, in parte, lo stesso Monicelli. Non approvo questo giudizio». Continua Soldati: «Mi rendo conto che si tratta di una salutare e santa reazione alla nostra secolare retorica, dannunziana e pre e postdannunziana. Ma mi pare che il timore della retorica abbia spinto verso un’altra, non meno riprovevole retorica: quella di chi, per pigrizia, per semplicismo, per mancanza d’amore, si compiace nella propria amarezza \. Gassman ci ha dato, così, in mille specchi un ritratto spaventevole dell’Italia di oggi. Rido, rido: ma poi esco dal cinema mortificato, avvilito \. Solo conforto è questo: la mia reazione è identica a quella di una buona maggioranza degli spettatori».
Però la colpa non è di chi, da italiano, gli italiani disprezza; la colpa è di chi, se gli italiani apprezza, non gira film che lo dimostrino. Ispirava l’articolo di Soldati su Gassman l’uscita de I mostri di Risi (1964), oggi considerato un classico. Ma aveva scritto Soldati per sostenere La fiamma che non si spegne di Vittorio Cottafavi (1949), sul sacrificio del carabiniere Salvo D’Acquisto? Se l’aveva fatto, Scarpa non ha inserito l’articolo in Cinematografo. E poi Soldati non metteva in pratica da regista le riflessioni che avrebbe fatto da spettatore. La sua Provinciale corrode la Lucca del 1952 quanto Il corvo corrode la Tulle del 1943: Soldati è l’unico italiano a gareggiare col francese Clouzot, a conferma che non c’è grande autore senza grandi contraddizioni.
Come non c’è vittima di regolamenti di conti che non sia tentato dal regolare i suoi. Ci si può chiedere, per esempio, perché il Soldati del 1964 stronchi Tinto Brass: «Tutto immerso nella propria ispirazione non si accorge di essere non dico incomprensibile - è sempre chiarissimo - ma inguardabile» e poi sferzi Risi: «Cominciò - racconta - come mio assistente \ nella lavorazione di Piccolo mondo antico (1940, ndr). Possedeva tutte le qualità per avere successo \, ma già allora, nella sua giovanile presenza, non meno di oggi, nel suo raggiunto successo e nel talento indiscutibile e sempre più sicuro, c’era qualcosa di inerte, di muto, di misterioso. \ Ripercorrendo \ il modo che Risi ha di girare, così vivo, morbido, pronto, aderente all’argomento, tutto mi pareva perfetto; allo stesso tempo tutto mi pareva un po’ grigio e un po’ inutile».
Fiele nel miele, dove il fiele risale - ma Scarpa lo tace - proprio a Piccolo mondo antico, quando Alida Valli aveva preferito l’ancora oscuro Risi al già famoso Soldati. Né lei, dopo, sarà immune dal risentimento di Soldati. Basta scorrere Cinematografo fino al racconto «Il momento buono» (1976). Qui, dietro “Roberta”, dietro la prosa enfatica di chi sa meglio denigrare che esaltare, s’intravvede Alida: «Vent’anni! Sotto i capelli castani chiari, un’alta fronte lievemente convessa, dalla linea quattrocentesca, pura e imperiosa. Grandi occhi azzurri, il cui sguardo sembrava andarti dritto al cuore, a volte sfavillanti di un riso incentevole». Poi Soldati racconta la macchinosa seduzione della sua giovane attrice, la sera stessa in cui il di lei fidanzato moriva combattendo. Come Soldati avrebbe fatto con Prezzolini, neanche la Valli avrebbe reagito alla sordida indiscrezione di Soldati su di lei.
Preso ancora una volta dall’understatement che tanto infastidiva l’attivo, verboso, eccessivo Soldati, l’«inerte, muto, misterioso» Risi ha recentemente ridotto il suo sfortunato amore per la Valli a «una piccola avventura».

E c’è chi l’avrà preso sul serio, giudicandolo male. D’altronde non tutti possono andarlo a trovare a casa. In tal caso saprebbero: dopo sessantasei anni nessuno - nemmeno un regista «inerte, muto, misterioso» - tiene in casa il grande ritratto di una piccola avventura.

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