Politica

«Sono contrario al ritiro subito stiamo portando la democrazia»

Luca Telese

da Roma

È andato a Nassirya con una missione di parlamentari pacifisti (dal verde Pierpaolo Cento all’indipendente di sinistra Pietro Folena, alla deputata di Rifondazione Elettra Deiana) ma è tornato con un’idea diversa da quella dei suoi compagni, invitando il segretario del suo partito, Piero Fassino, ad abbandonare l’idea del ritiro. Giorgio Tonini, senatore diessino dei Cristiano sociali, ha un’idea molto chiara di come andrebbe scritto il documento sull’Irak: «Credo, e non è solo una battuta, che Romano Prodi dovrebbe assumere come consulente il generale Costantino, il capo della nostra missione Antica Babilonia».
Senatore Tonini, lei ha fatto arrabbiare Pierpaolo Cento dicendo che in Irak le sue certezze pacifiste hanno vacillato...
«Vedo che Cento, rispondendomi, ha detto che vorrebbe correggere le proporzioni della missione, meno militare, più umanitaria. Almeno è un passo avanti».
Lei invece non crede che il ritiro sia più una priorità?
«Direi di sì. Anzi, aggiungo che vista da laggiù la nostra polemica aprioristica ritiro-sì ritiro-no, è davvero priva di significato».
Lei è convinto che la missione dei carabinieri sia utile?
«Ho constatato che i militari italiani stanno instillando in quel Paese delle pillole di democrazia. Che hanno aperto 63 stazioni di polizia irachena sul modello italiano. Che hanno spiegato agli agenti locali la differenza tra una polizia totalitaria e una democratica».
Lei pensa che la democrazia si possa «insegnare»? Molti a sinistra sostengono il contrario in nome del principio di autodeterminazione dei popoli...
«Lo so. Ma la democrazia si può insegnare, e come. Anzi, credo che sia sottilmente razzista il ragionamento opposto, in nome del quale esisterebbero dei Paesi, i nostri, naturalmente democratici, ed altri, i mediorientali, in cui la democrazia non può nascere».
I nostri militari non vanno considerati un esercito occupante?
«Assolutamente no. Prima di tutto perché una legittima autorità irachena, designata con il voto, per quanto traballante, c’è».
Lei li ha incontrati?
«Il governatore non c’era, abbiamo incontrato il suo vice, e il presidente del Parlamento regionale. Trovo importante che i carabinieri, in qesto tipo di incontri, favoriscano la presenza dei rappresentanti del potere legislativo e di quello esecutivo. Così si capisce che sono distinti: le maggioranze imparano a non considerarsi istituzioni monocratiche, le opposizioni che esiste un’altra via di opporsi che non sia sparare» .
Tutto bene, a Nassirya?
«Be’, non direi. Mentre mi pare che la parte militare funzioni, vedo che l’intervento umanitario è ancora del tutto emergenziale».
In che senso?
«La Croce rossa continua a distribuire pane e acqua. Ma bisogna magari far funzionare gli acquedotti. Il comandante dei carabinieri ci ha spiegato che la centrale elettrica di Nassirya, costruita dai russi, cade a pezzi perché non ci sono ricambi. Bisognerà che qualcuno la ripari.

Ma visto che i militari non possono farlo servono interventi civili di lungo respiro, non più distribuzioni di generi alimentari».

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