Guardare avanti? Non è un caso se, contemporaneamente, Matteo Garrone e i fratelli Taviani sono all'opera, con lo sguardo rivolto all'indietro. Molto all'indietro e alla Grande Letteratura italiana, che si rifà a una prospettiva di vita raffinata e intelligente. Quando la civiltà cavalleresca e cortese s'ispirava a norme di decoro e gentilezza, mentre inganni, beffe e burle della vita venivano raccontati dai novellatori, tra motti arguti e amori a lieto fine. Così Paolo e Vittorio Taviani, dopo l'Orso d'Oro vinto a Berlino con Cesare deve morire, abbandonano la spinta ideologica della prima produzione (da Allonsafan a Kaos), portando sullo schermo il Decamerone, cioè il Libro delle dieci giornate, raccolta di novelle di Giovanni Boccaccio attribuite agli anni 1349-1351.
S'intitola Maraviglioso Boccaccio il film dei fratelli toscani, che hanno montato il set in una villa di Certaldo, terra originaria dello scrittore al quale s'ispirano. La trama, comunque, resta aderente all'impianto letterario originale, con sette fanciulle e tre giovani, che durante la peste del 1348 s'incontrano a Firenze e vanno in una villa fuori città. Qui trascorreranno il tempo raccontando ogni giorno, sotto la direzione d'un «re» o d'una «regina» della giornata, una novella ciascuno. «Raccontiamo questa storia, anzi, queste storie ispirate con libertà al Decamerone di Boccaccio, perché accettiamo la sfida: ai colori cupi della peste - ieri, come oggi, la peste, in varie forme, è dappertutto -, contrapporre i colori trasparenti dell'amore, dell'impegno, della fantasia. Poi c'è il caso, come sempre; ma questo renderà più appassionante il nostro racconto», dicono i Taviani.
Prodotto da Donatella Palermo e Luigi Musini, con Rai Cinema e la francese Bis Film, con il supporto del Mibac e di Eurimages, questo film conta su un cast notevole: Kim Rossi Stuart, Riccardo Scamarcio, Lello Arena, Kasia Smutniak, Paola Cortellesi, Vittoria Puccini, Carolina Crescentini e Jasmine Trinca incarnano la speranza d'una generazione, che brama di sottrarsi alla pestilenza diffusa attraverso il racconto delle più disparate esperienze umane. Siamo lontani dal tono erotico di Boccaccio '70, film a episodi diretto da Fellini, Monicelli, De Sica e Visconti, ma soprattutto dalla cupa carnalità del Decameron pasoliniano. Se PPP focalizzava l'attenzione sull'eros decadente, quale simbolo di traviamento morale, i Taviani pensano a una «meglio gioventù» che reagisce alla crisi etica del proprio tempo, riscoprendo il senso della bellezza.
Alle fiabe narrate con ironico distacco attinge anche il romano Matteo Garrone, due volte vincitore del gran premio della giuria al festival di Cannes (Gomorra e Reality), ambientando lui pure in Toscana, tra le maremmane Sovana e Sorano, il suo The Tale of Tales, ovvero Lo cunto de li cunti, tratto dall'opera omonima dello scrittore e militare di ventura Giambattista Basile, pubblicata postuma nel 1634-1636 sotto lo pseudonimo di Gian Alesio Abbattutis. Si tratta di cinquanta fiabe in dialetto napoletano, che si fingono narrate da dieci vecchiette in cinque giornate (da qui anche il titolo di «Pentamerone»): la sceneggiatura è di Garrone (anche produttore insieme a Le Pacte), con Massimo Gaudioso, Ugo Chiti e Edoardo Albinati. Il regista, al suo primo film in inglese e in costume, dal genio della favola barocca prende cinque fiabe, affidandosi a star globali come Salma Hayek e Vincent Cassel. Sul set, banditi piercing e tatuaggi e benvenuti i volti dal tratto antico.
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