Da quando vagava, solo e incompreso, esule per le strade di Londra, mr Paul Simon ha fatto la storia della canzone d'autore. Ha scritto classici come Sound of Silence e The Boxer che sono rimasti nell'immaginario collettivo, ha fatto sognare e al tempo stesso riflettere legioni di persone in coppia con Art Garfunkel, ha scandagliato (tra i primi) le acque tumultuose e accoglienti della musica etnica ed è arrivato a 77 anni dribblando le insidie della nostalgia e dell'autoreferenzialità. Simon, a 75 anni, ha ancora voglia di giocare con la musica e di viaggiare verso nuovi orizzonti, e lo fa con il nuovo album Stranger to Stranger, un lavoro sorprendente nello spaziare dai toni folklorici alle incursioni microtonali sulla scia delle opere di Harry Partch.
Paul Simon sempre più intellettuale?
«Più che altro curioso. Ho costruito un album che desse il senso dello spazio, un incrocio di suoni che sia al tempo stesso di intrattenimento e interessante. Se scrivi musica e sei un cantautore devi rendere le tue canzoni fresche all'orecchio del pubblico senza perdere la tua identità. Devono essere belle canzoni dal punto di vista del testo e della musica e non essere troppo lunghe, perché l'ascoltatore non perda interesse».
Non è cambiato il suo modo di scrivere.
«Nello scrivere, se uso immagini inusuali, o pensieri che richiedono una piccola riflessione, nella frase successiva metto un clichè, una immagine più consueta, in modo che il pubblico non perda il filo del discorso. Se mi accorgo che chi ascolta ha bisogno di un break, o di assorbire meglio il suono, quello è il momento adatto per cambiare soggetto in un testo. Amo cambiare i soggetti nei testi, così come si fa nelle conversazioni».
Si è ispirato a Harry Partch per la costruzione dell'album?
«È stato uno dei più grandi compositori del XX secolo, ma la sua musica era vissuta come una specie di cul-de-sac perché era microtonale, e si scontrava con la classica teoria europea in cui un ottava era divisa in 12 note, mentre per Partch un ottava è divisa in 43 toni. Partch ha costruito uno splendido paesaggio sonoro, con un suono unico, e per questo aveva costruito degli strumenti particolari, che alla sua morte sono finiti alla Montclare University nel New Jersey, curati dal suo allievo Dean Drummond. Da lì ho deciso di utilizzare strani strumenti musicali come il TrombaDoo, che è un piccolo strumento a fiato simile al Didgeridoo o il Gophicand, che è uno strumento indiano a una sola corda, simile al berimbau. Comunque il disco è nato proprio dall'incontro con Drummond».
Cioè?
«Iniziai questo album, quattro anni fa, con un pezzo per chitarra e lo feci ascoltare a Drummond, poi a mia moglie che l'ha definito una ninnananna. Secondo me era una ninnananna che non fa dormire così l'ho intitolata Insomniac's lullaby e da lì tutto è partito».
Il brano Riverbank è basato sulla cronaca?
«Parla di Newtown, la città dove un folle uccise decine di ragazzini e insegnanti in una scuola. Ho conosciuto una di quelle maestre morte e ho cantato al suo funerale. Un'altra esperienza che ha segnato questo brano è stata la mia visita ad un ospedale di Washington per reduci di guerra».
Ci sono due pezzi strumentali scritti per una piéce di John Patrick Shanley.
«Una commedia dal titolo Prodigal Son che debutterà a febbraio a New York. E c'è anche un terzo pezzo, che entrerà in una versione expanded dell'album».
Al suo fianco c'è uno storico produttore come Roy Halee.
«Halee ha fatto le prime audizioni a me e a Garfunkel, lo conosco da quell'epoca. C'era in tutti i dischi di Simon & Garfunkel come ingegnere del suono e coproduttore. C'era nel mio primo album solo, c'era in Graceland e in tutti gli altri album.
Poi s'è ritirato, ha 81 anni, ma anche se è fisicamente invecchiato è sempre lui, pieno di entusiasmo e con un grande orecchio. Halee è la persona con cui preferisco lavorare, anche se mi fa diventare matto col suo perfezionismo».
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