In fondo il Bocelli di oggi lo conosce tutto il mondo. Ma il ragazzo che poi è diventato Bocelli è confinato in poche righe della sua biografia. Perciò La musica del silenzio, il film presentato ieri al Prix Italia e diretto da Michael Radford (in onda lunedì in prima serata su Raiuno) è proprio «una storia di scoperta del talento» come riassume il direttore Andrea Fabiano. La passione per il canto, la progressiva perdita della vista, la gavetta, l'incontro con la sua Veronica. In questi centodieci minuti (con le musiche del catalogo Sugar e la colonna sonora originale di Gabriele Roberto) che saranno distribuiti in tutto il mondo (da Netflix America al Giappone) c'è la storia di un talento che va oltre gli ostacoli e diventa il tenore più famoso del mondo. La trama è liberamente ispirata all'autobiografia omonima (edita da Giunti) che Bocelli ha scritto in terza persona inventandosi l'alter ego Amos Bardi. E nel cast ci sono Antonio Banderas nel ruolo del maestro del giovane Bocelli, Ennio Fantastichini e Luisa Ranieri in quello della fondamentale mamma Edi. «Ho scoperto solo pochi giorni fa che il film sarebbe andato in tv e non al cinema», dice scherzosamente il tenore che, come ogni uomo di grande talento, ha il pudore di averlo.
E quale sarebbe la differenza, caro Bocelli?
«Beh al cinema ci va chi davvero vuol vedere quel determinato film. Va bene che in tv c'è il telecomando, ma ho sempre il timore che al pubblico non interessi.... In fondo il mio vero film è la mia musica. Però è vero che i film sono l'opera multimediale per eccellenza e quindi possono far ascoltare anche la musica che nei libri è soltanto raccontata».
La sua è comunque una storia da film.
«Per la vicenda di Amos che perde la vista si può provare commozione ma la storia di un profugo siriano che arriva in Italia è comunque più commovente».
Qual è il filo conduttore di La musica del silenzio?
«È la denuncia vigorosa nei confronti del caso. Io non credo che ci sia il caso né nelle piccole né nelle grandi vicende della vita. E alla fine del film lo dico. Su questo argomento ho riflettuto molto. Secondo me, il caso è un atto di superbia umana che porta a togliere la speranza e aiuta a diventare creduloni».
Ma perché ha scelto di raccontarsi in terza persona?
«Perché è un modo di guardarsi dall'esterno e di avere la giusta autocritica. Perciò parlare di Amos Bardi invece che di Andrea Bocelli mi ha molto aiutato».
I suoi meriti però sono evidenti.
«Anche qui, io non credo esista il merito. Dietro c'è un dono e, eventualmente, c'è il demerito di non averlo sfruttato come si deve. Sì, credo esista solo il demerito di chi ha un talento e non ha la voglia di ottimizzarlo».
Lei lo ha fatto.
«Ricordo sempre una frase di Tiziano Terzani, del quale ho letto tutto. Lui diceva di non aver mai lavorato perché si era divertito a fare tutto ciò che ha fatto».
Anche lei?
«Più che fare ciò che si ama, credo sia importante amare ciò che si fa. A nessuno di noi è dato di cambiare il mondo, ma possiamo armonizzarci con il mondo».
Ora si potrebbe girare un film sulla seconda fase della sua vita.
«Ma no, la mia vita artistica di oggi sarebbe un film noiosissimo e insopportabilmente celebrativo». (sorride - ndr)
Nella Musica del Silenzio sono assenti alcune figure decisive.
«Ci sono personaggi che idealmente li riassumono. Banderas ad esempio rappresenta i miei maestri, lo zio Giovanni è la summa dei miei parenti. Certo non c'è neanche Caterina Caselli, che per me è stata fondamentale e mi ha capito prima e meglio di tutti».
È andata oltre allo sterile dualismo tra lirica e pop.
«È un dualismo che, a parer mio, non esiste. Basta guardare la storia. Se si consulta la discografia di Enrico Caruso, uno dei tenori più importanti del primo Novecento, si può facilmente scoprire che c'è più musica popolare che operistica. Idem per Beniamino Gigli, un artista che è stato non solo tenore ma anche cantante popolare e pure attore di film. Queste divisioni, in sostanza, non sono reali».
Invece ad Antonio Banderas la musica piace realmente. Come ha dimostrato all'Andrea Bocelli Show del Colosseo poche settimane fa.
«L'avevo già incontrato tanti anni fa quando lui
era già Banderas e io non ero nessuno. Poi al Colosseo mi ha detto di conoscere i miei dischi ma che ascoltarmi dal vivo è stata una esperienza straordinaria. Mi vergogno quasi a dirlo, ma sono proprio le sue parole eh...».
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