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«Eroe, ladro e padre: quant'è complicato essere un Ant-Man»

L'attore a Roma parla del suo ultimo film: "Mi piace che si parli anche di sentimenti"

«Eroe, ladro e padre: quant'è complicato essere un Ant-Man»

Il super-eroe stavolta si presenta con la sua faccia da bravo ragazzo americano e una maglietta verde a righine. Non è un uomo qualunque, però, Paul Rudd: il 49enne divo di Ant Man and the Wasp (dal 14 agosto), blockbuster di Peyton Reed che l'attore si sceneggia da sé (come fece per il primo Ant-Man), è lanciatissimo. Sposato con la produttrice Julie Yaeger, dalla quale ha avuto Jack, 13 anni, e Darby, 8, gli piace chiamarsi «personaggio d'azione» nella vita vera e super-eroe nella «fake life», la vita finta sullo schermo. Non è una star dalla testa montata: Paul, che ritorna come Scott Lang, ex-ingegnere elettronico e ladro in possesso d'una tecnologia che gli fa ridurre e aumentare le dimensioni, è alla terza volta nella parte di Ant-Man e ha già fatto incassare 113 milioni di dollari al box-office Usa. Però, resta semplice. In partenza per Giffoni, per presentare, in anteprima, il sequel di Ant-Man (2015), nel cui cast figurano Evangeline Lily (Wasp, con ali e pungiglione) e il premio Oscar Michael Douglas (fa lo scienziato Hank Pym), in coppia con Michelle Pfeiffer, Paul parla del suo ruolo: più divertente e meno cupo di Captain America: Civil War. Anche se sta agli arresti domiciliari, il suo protagonista cerca di tenere in equilibrio la vita domestica e le sue responsabilità di super-eroe. Ottimo come spasso estivo, ecco l'antidoto al finale devastante di Avengers: Infinity War. Un film popcorn, dove non mancano spunti di riflessione sul senso della famiglia e del lavoro di squadra. E Paul Rudd, come papà, è molto paziente.

Qual è stato il suo apporto alla sceneggiatura?

«Il mio percorso di sceneggiatura nasce molto prima di aver girato Ant-Man and the Wasp, quando già avevo in mente una linea narrativa. Quando il primo Ant Man era nella sua fase finale, mi sono chiuso in una stanza con il regista e il produttore per lavorare a questa storia».

Nel film si avvertono influenze della grande commedia romantica americana, con l'aggiunta dei superpoteri. Che cosa ne pensa?

«È vero. Soprattutto nella chimica tra Hope van Dyne e Scott Lang, circola quell'aria da commedia romantica, che serve a imprimere un tono leggero e divertente al film. Evangeline, poi, è perfetta come partner. La prima super-eroina piccola come Trilly Campanellino, che appare nei titoli Marvel! Evangeline è un'attrice molto fisica e non voleva sembrare affascinante. Voleva sudare!».

Nel film, sono molti i temi e i personaggi collaterali. Pensa di svilupparli, nel prossimo sequel?

«Non conosciamo il futuro, né sappiamo se ci sarà un altro film della serie. Però, il tema della famiglia, qui molto forte, potrebbe apportare ulteriori sviluppi, che fanno immaginare la continuazione del filone. I film Marvel sono diversi tra loro: non a caso, mi interessa l'universo Marvel. Le cui sfaccettature attirano sia i grandi sia i più giovani. Nel film ci sono molti bambini e certamente svilupperemo questi personaggi».

Alla sua terza volta come Scott Lang: il personaggio comincia ad annoiarla?

«No, perché ogni volta ci sono nuovi lati da scoprire. Non ho mai avuto esperienza di più stagioni televisive, per cui non so se, magari, lì mi annoierei. So che, se me ne daranno la possibilità, mi piacerebbe continuare nella parte del super-eroe».

Il suo protagonista è un padre affettuoso, che s'ingegna con giochi di fantasia per divertire la figlioletta. Lei che tipo di padre è?

«Il caso vuole che mia figlia abbia 8 anni, come la piccola del film. E, come lei, mi chiede cose impossibili da realizzare, nel nostro piccolo appartamento di New York. Darby ama le Barbie e ha una collezione di 10 peluches: bene, li mettiamo seduti, come in classe, e facciamo loro lezione. Siamo i professori dei peluches!».

Com'è stato lavorare con due mostri sacri come Michelle Pfeiffer e Michael Douglas?

«Lavorare con loro è stato stupendo. Ho pensato che, in fin dei conti, il titolo del film riguarda anche loro e la storia d'amore che interpretano. Da Douglas ho persino imparato qualche trucco magico da fare sul set. Con loro eravamo molto più d'una squadra».

Nel film, il suo approccio alla scienza sembra più umanistico...

«Ho studiato fisica quantistica e parlato con vari scienziati. Poi ho realizzato che dovevo soltanto fare un esserino piccolo come una formica».

Che cosa le piace, di più, nel ruolo di Scott?

«L'idea d'interpretare un super-eroe, che non sia nato eroe, o super, ma una persona normale. E sicuramente amo l'idea d'essere un genitore responsabile».

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