"Il mio rock è una fede che a volume alto può cambiare il mondo"

Il nuovo cd celebra i trent'anni di carriera della band americana. Il cantante sex symbol: "Sono tornato sul set solo per Halle Berry"

"Il mio rock è una fede  che a volume alto  può cambiare il mondo"

In fondo è rimasto uno dei pochi testimonial degli anni '80. Saletta dell'aeroporto privato di Linate, primo pomeriggio: invecchiato e (più) corretto, Jon Bon Jovi è sempre lo stesso, ossia ottimismo, pettorali e sorrisone anche sotto le occhiaie di chi, come lui, ieri al mattino era a Stoccarda, al pomeriggio da Fabio Fazio a Milano e alla sera avrebbe poi dormito a Berlino. Che tempo che fa: prima era pop rock, tendenza hair metal come il primo singolo Runaway, ora rock con sfumature vintage e talvolta country. «Abbiamo iniziato con Reagan e ora alla Casa Bianca c'è Obama» dice lui riassumendo tutto. Dopo 130 milioni di dischi venduti, e brani icona come You give love a bad name o It's my life, non si è ancora stancato e a fine marzo pubblica il solido e prevedibile What about now giusto dopo aver iniziato l'ennesimo tour mondiale. «E pensare che abbiamo provato le nuove canzoni solo due volte finora». Per la cronaca, in trent'anni esatti di carriera i Bon Jovi hanno suonato in cinquanta paesi davanti a oltre 35 milioni di fan, oltre un milione all'anno. E il 29 giugno saranno a San Siro. Si dirà: roba da nostalgici. Ennò. Con sei mesi di anticipo sono già stati venduti quasi quarantamila biglietti perché il bel rock si divide in due categorie: quello che piace ma poi passa. E quello che rimane appiccicato alla memoria. Come il loro.
Però, Jon Bon Jovi, in tre decenni non siete cambiati di una virgola.
«In effetti il primo singolo dell'album ha il solito suono, pieno di entusiasmo. Ma gran parte dell'album ruota intorno a temi sociali».
Ossia?
«La nuova normalità».
Detto così si capisce poco.
«Brani come What about now o I'm with you spiegano che i cittadini non possono delegare tutto alla pubblica amministrazione».
Insomma, è quasi anti statalista.
«È la gente che deve trovare nuovo entusiasmo. Molti sono disillusi e dicono: perché ci devo credere? Io penso che sia giusto credere di poter cambiare la situazione. Perciò il singolo si intitola Because we can: perché possiamo, appunto, cambiare le cose».
E pensare che trent'anni fa andavate in tour con rockettari scatenati come Scorpions e Kiss.
«Quando hai vent'anni pensi a cose diverse rispetto a quando ne hai cinquanta».
Lei quasi cinquantuno. Quasi venti in meno di Mick Jagger.
«Ma i Rolling Stones sono tuttora il meglio. Abbiamo suonato con loro a dicembre a New York e la sera dopo sono anche andato a vederli nel New Jersey».
Palco kolossal, il loro.
«E anche il nostro, per lo meno nell'allestimento per gli stadi europei, sarà grande. Con video ispirati al Cirque du Soleil».
Spesso le megaproduzioni rischiano di soffocare la musica.
«Ho letto quanto scritto sul palco degli U2, che sembrava l'aeroporto di Los Angeles tanto era grande».
Tutto cambia. Persino i Bon Jovi, simbolo del rock chitarroso anni Ottanta, hanno messo in giro una “app” sul web (gratuita, per fortuna).
«E lì ci sono tutti i dettagli del nostro album. Quando ero ragazzino, compravo i vinili e mi divoravo le note di copertina: i ringraziamenti, gli ospiti, il nome dei produttori. Ora è tutto finito. E questa “app” aiuta a ricostruire il nostro progetto».
Lei spesso ne ha avuto più di uno. Il cinema, ad esempio.
«Il mio ultimo film è stato Capodanno a New York. Un film popcorn. Ma me lo ha proposto Halle Berry e puoi dir di no a una come lei?».
Difficile.
«Però ora sono di nuovo innamorato del rock. Recitare è bello, ma stai in una stanza isolato dal mondo, sei un esecutore e non hai contatto con il pubblico. A me piace creare musica e poi salire sul palco davanti a decine di migliaia di persone come quando suoniamo negli stadi».
Quindi i casi sono due: o nessuno la cerca più come attore. Oppure lei rifiuta.
«In realtà ho ricevuto molte proposte. Ma non si può essere attori e rockstar allo stesso livello. E ho scelto la musica. Però ho chiesto al mio manager: segnalami quando possiamo comporre la musica per qualche film».
Missione compiuta.
«Due brani della versione deluxe di What about now (Not running anymore e Old habits die hard - ndr) sono nella soundtrack di Stand up guys con Al Pacino e Christopher Walken».


Trent'anni fa vi ridevano dietro perché eravate capelloni rumorosi. Ora suonate per Al Pacino.
«E dire che a me piaceva di più Bob Dylan dei Led Zeppelin. Al chitarrista Richie Sambora il contrario. Forse da queste miscele nascono i successi che durano nel tempo».

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