Cultura e Spettacoli

Morto Tavernier, una vita per il cinema

Diresse film di ogni genere. Ma niente Nouvelle Vague...

Morto Tavernier, una vita per il cinema

Il regista, sceneggiatore e produttore francese Bertrand Tavernier è morto all'età di 79 anni. Nel 2015 ottenne a Venezia il Leone d'Oro alla carriera.

Da un genere all'altro, senza un attimo di respiro. Perché del cinema amava tutto, Bertrand Tavernier, il regista, sceneggiatore e produttore di Lione morto ieri all'età di 79 anni a Sainte-Maxime, nella regione del Var. Passionale e diretto, era una grande firma del cinema francese, oltre che intellettuale militante capace di denunciare le torture della guerra d'Algeria, o di difendere i diritti dei sans-papiers, senza rinunciare a combattere il Front National. Ad annunciare la scomparsa di tale autore impegnato che dal padre René, scrittore e critico letterario, aveva ereditato la vena combattiva - come atto di resistenza, René Tavernier fondò la rivista Confluences in piena occupazione nazista, pubblicando Paul Éluard e Louis Aragon - sono stati la moglie Sarah e i figli Nils e Tiffany, insieme all'Institut Lumière di Lione, di cui Tavernier era presidente.

Eppure, con quel padre gaullista e ingombrante, l'autore di sinistra che scriveva per i Cahiers du Cinéma aveva rotto ben presto. «Mio padre ha dilapidato il suo talento. Per distinguermi da lui, ho fatto parecchie cose: lavoro in continuazione, non mi piacciono le cene in città», confidava a Libération nel 1999 colui che, nel 1984, vinse il Premio per la miglior regia al festival di Cannes con Una domenica in campagna. Proprio per sottolineare la sua differenza dal padre, avrebbe scelto di buttarsi nel cinema «un modo incosciente per separarmi da lui».

Colpo di spugna, dunque, con la Settima Arte, per citare uno dei suoi film noir più noti, insieme a Che la festa cominci... (1975), firmato da un engagé cronico, nel 2015 Leone d'oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia. Il largo pubblico, magari, lo ricorderà per Quai d'Orsay, il suo ultimo film, del 2013, tratto dall'omonimo fumetto di Abel Lanzac e Christophe Blain, dove si narra la vita da ministro degli esteri di Dominique de Villepin, tra il 2002 e il 2004, sotto la presidenza di Chirac. Ma anche per le frequenti visite in Italia. «Amo l'Italia e gli italiani. Sono stato amico di Francesco Rosi, del quale ho curato l'ufficio stampa per Uomini contro. Conosco Dino Risi, amo molto Mario Monicelli», diceva. La frequentazione col Bel Paese comprende le due volte in cui il regista è stato in concorso a Venezia: nel 1986 con A mezzanotte circa, successo internazionale, e nel 1992 con il poliziesco Legge 627.

Nato il 25 aprile 1941 a Lione, Tavernier aveva scoperto il cinema durante un soggiorno in sanatorio, per curare la tubercolosi. Nel 1974, dirigendo il suo attore-feticcio Philippe Noiret (Il giudice e l'assassino del '76, Colpo di spugna dell'81) s'era fatto conoscere esordendo con L'orologiaio di Saint-Paul. Personalità eminente del cinema francese, eclettico e internazionalmente famoso, prediligeva temi sociali. Cinèfilo accanito (da giovane organizzò il cineclub Nickelodéon, prima di diventare assistente di Jean-Pierre Melville), Tavernier ha dedicato gli ultimi anni al restauro dei vecchi film.

Dai polizieschi al western, dalla fantascienza alla commedia musicale, amava tutto, l'erede del cinema classico francese alla Renoir, Duvivier, Autant-Lara, il quale non si è mai sentito parte della Nouvelle Vague (Truffaut, Godard, Rivette, Rohmer, killer del cinema di papà), preferendo introiettare i generi nel loro complesso.

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