di Antonio Tajani*
L'Europa si costruisce anche al cinema. E il cinema non è solo cultura ma industria. Europea. Un esperimento riuscito, ormai alla decima edizione, è il Premio Lux dell'Europarlamento. Vincitore, ieri, Toni Erdmann Il padre di sua figlia, della regista tedesca Maren Ade (Orso d'Argento nel 2009 con Everyone else). Una storia che dà il senso di una Europa dei 28 che si ostina a cooperare e restare unita nel segno della produzione culturale, e che riconcilia le generazioni sdrammatizzando con ironia il dibattersi dei cittadini europei nei meccanismi impersonali e tortuosi dell'economia reale.
Semplici gli ingredienti: Inès, una quarantenne in carriera distaccata a Bucarest, riscopre il rapporto col padre Winfried grazie al camuffamento di quest'ultimo in un buffo personaggio (Toni Erdmann) che gradualmente ne riconquista la fiducia e l'amore.
Il premio Lux assicura al vincitore traduzione e sottotitolazione in tutte le 24 lingue parlate nei 28 paesi dell'Unione. Gli altri finalisti della triade erano Appena apro gli occhi, della tunisina Leyla Bouzid, e La mia vita da zucchina, dello svizzero francese Claude Barras. Tutti avevano come filo conduttore la compatibilità tra mondi diversi: i percorsi d'integrazione oltre l'emergenza.
Tradurre e distribuire un film europeo in oltre 50 città, e 20 festival, è un altro modo per costruire l'Europa nel momento in cui si alzano muri e i populismi tentano di espugnare i governi all'insegna dell'anti-europeismo.
L'iniziativa del Premio Lux oppone la produzione europea, frammentata da barriere fisiche e linguistiche interne, al cinema del Nord America che attraversa il mercato unico anglosassone. Ed è un concreto riconoscimento e un supporto alla nostra cinematografia: un'industria che rappresenta il 3.3 per cento del Pil Ue, occupa il 3 per cento della forza lavoro comunitaria (pari a 6,7 milioni di addetti) e genera una ricchezza superiore a quella di comparti come il chimico o l'immobiliare.
Attraverso l'industria cinematografica difendiamo la nostra identità culturale. Il Parlamento europeo ha approvato due settimane fa la relazione «Spectrum» che riconosce il ruolo fondamentale e insostituibile dell'industria legata al digitale terrestre nella produzione di contenuti originali, oltre che per la creazione di impiego.
Il cinema europeo è l'emblema dell'Unione come dovrebbe essere e purtroppo spesso non è, con il suo alto potenziale di sviluppo e il suo potere «creativo», e il confronto vincente con regole e vincoli (non solo linguistici) che lo limitano.
In 10 anni il premio Lux, di cui sono responsabile come vicepresidente vicario del Parlamento, ha coinvolto ben 200 tra registi, distributori e produttori, e nutrendosi delle tradizioni più disparate rappresenta un contributo importante alla cultura cinematografica e imprenditoriale europea, e al turismo. Tra cinema e turismo, del resto, la sinergia è evidente per le localizzazioni dei set in città d'arte, capitali e destinazioni speciali.
Un impulso culturale ed economico, a cinquant'anni dalla firma dei Trattati di Roma, nel segno della «Unione cinematografica europea». Avendo quest'anno, a dispetto della Brexit, accanto al tedesco Wim Wenders un padrino d'eccezione: il britannico Ken Loach.*Vicepresidente vicario del Parlamento europeo
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