Cultura e Spettacoli

La signora che inventò le pari opportunità nell'amore romantico

Fra natura, morte e fede tutto l'orgoglio femminile nella relazione con Hölderlin

La signora che inventò le pari opportunità nell'amore romantico

Ma è chiaro che ogni storia d'amore è bella, struggente perché tragica, altrimenti non sarebbe storia e quella tra Susette Gontard (1769-1802) e Friedrich Hölderlin (1770-1843) fu dolorosa e appassionante, come confermano le loro Lettere d'amore, ora proposte da un Oscar Mondadori a cura di Luigi Reitani, nella splendida traduzione di Adele Netti e Andreina Lavagetto (pagg. 208, euro 10).

Hölderlin, forse il più grande poeta lirico tedesco, aveva studiato alla Facoltà di Teologia di Tubinga insieme a Hegel e a Schelling (che anni!). Ma nessuno dei tre voleva diventare pastore. L'unica possibilità per quei giovani era un posto da precettore in qualche ricca famiglia, e così avvenne. Hölderlin si stava già affacciando sulla scena intellettuale. In un viaggio a Jena e a Weimar aveva conosciuto Schiller che lo aveva incoraggiato pubblicando alcune sue composizioni, decretandone il successo. Ma carmina non dant panem e il giovane s'industriò a trovare un'attività per non finire parroco in qualche villaggio svevo come avrebbe voluto la madre, donna forte, ma insensibile alla vera vocazione del figlio. Gli si prospettò nel 1796 un posto interessante a Francoforte: precettore del giovane Henry Gontard, nato nel 1787, figlio di un ricco banchiere e di sua moglie Susette. Non sappiamo i particolari della storia dell'amore che presto infiammò i giovani. Lei doveva essere estremamente prudente, ma forse la cautela non fu sufficiente, perché nel settembre 1798 il giovane dovette lasciare precipitosamente la bella casa. Tra mille difficoltà i giovani tentarono di rimanere in contatto; lui si era rifugiato in un paese vicino e spesso la raggiungeva, facendo 17 miglia a piedi, pur di vederla, ancorché brevemente, spesso da lontano.

Le lettere del poeta - salvo due minute - vennero distrutte dagli eredi della donna, mentre ci restano diciassette lettere di lei che costituiscono un corpus meraviglioso della letteratura dell'amore romantico, in cui amore e natura e morte e fede costituiscono un intreccio indimenticabile, che supera persino la cultura del tempo per attingere una dimensione universale: «Se non provassi più sentimenti, se l'amore dentro di me scomparisse - cosa sarebbe la mia vita senza amore! Allora sprofonderei nella notte, nella morte». Quando l'amore diviene destino, rompe ogni disposizione del carattere, ogni speranza, ogni attesa e solo la morte nella intima, inspiegabile certezza, che solo l'amore vero dà, di unirsi nell'eternità secondo la fede nella legge invisibile della natura, ancora intesa come organismo vivente: «Alla fine la natura trionfa sempre, e anche dalla morte mi riserva una vita nuova e più bella, poiché nella profondità del mio essere giace inestirpabile il seme dell'amore. Non ci rimane che la fede più beata l'uno nell'altra e nell'onnipotente natura dell'amore che ci guiderà invisibile in eterno unendoci sempre di più. Ieri ho riflettuto ancora a lungo sulla passione... La passione dell'amore supremo non trova mai appagamento sulla terra, ammettilo con me! Cercare questo appagamento sarebbe una follia... Morire insieme! è l'appagamento. Ma noi abbiamo doveri sacri in questo mondo».

Così Susette, tornando ai suoi doveri di madre di quattro figli, si strappa dal folle e meraviglioso sogno di un sentimento che trascende nella morte per sublimarsi in una unione eterna. Certo, talvolta il discorso scende dalla tensione tragica, dalla drammaticità metafisica per trovare i dolci accenti di una impossibile quotidianità negata: «Non avevo niente da raccontarti, ma tanto, davvero tanto da dirti».

Il volumetto presenta anche altre lettere di Susette a una amica e il tono scende di livello con accenni a viaggi, ad abiti, a un cappellino «da negligé molto comodo in taffetà verde». Così banale la quotidianità, ma certo perché «da quando sei andato via, tutto qui intorno e dentro di me sembra vuoto e deserto; è come se la vita avesse perso ogni significato, solo nel dolore ne trovo ancora». Povera Susette: eppure con questi fogli scritti di nascosto, spesso interrotti, si innalza alla letteratura universale dell'amore, quella di Paolo e Francesca, quella di Werther. Eppure questi sono amori poetici, mentre le lettere di Susette sono di una donna disorientata, travolta e sconvolta da un amore impossibile, inammissibile e la soluzione è solo la morte nell'ansia e nell'irragionevole sicurezza che ritroverà il suo amato nel mistero eterno: «con intima fede in questo sentimento rispetto l'inspiegabile».

Presto le lettere, di fronte all'impossibilità di un incontro, si sublimano a certezza sacrale in un ritrovarsi, in un volo che non è una fuga, ma un trascendimento: «E audaci voleremo, nel corso veloce del tempo, verso il nostro rivederci, sia quando sia! Pregheremo il destino che quel momento felice giunga presto e confideremo in quelle forze segrete che guidano i nostri passi». E infine l'ultima, struggente, sublime lettera d'amore parla di dolore, di morte, di destino e di fede al di là di ogni possibilità: «Seguiamo dunque con fiducia il nostro cammino, ritrovandoci ancora felici nel dolore che ci unisce, auguriamoci che esso per noi duri a lungo, tanto a lungo perché nobilita e rafforza straordinariamente il nostro sentimento... Addio! Addio! La benedizione del... sia con te. Addio! Addio! In me sei inestinguibile e così resterai finché io resterò in vita».

Non si può vivere a lungo con questa onnipotente, devastante passione che disarma, confonde, disorienta: «Che arte difficile è l'amore! Chi può capirla!». Già, chi può capirla. La comprensione è annullamento e realizzazione, o almeno così fu per Susette, come se il suo karma richiedesse la sua elevazione, il suo estremo sacrificio. Susette morì contagiata dalla rosolia delle figlie il 22 giugno 1802. Friedrich era precettore a Bordeaux: si narra che si mise in cammino per raggiungere l'amica, l'amata malata.

Non la rivide. Le dedicò un monumento imperituro nella figura sublime di Diotima nel romanzo poetico Iperione. Tornato in Germania visse ancora quarant'anni, obnubilato in una torre sul Neckar affidato alle cure di un falegname, lettore appassionato del romanzo. Si suppone perfino che Hölderlin finse la sua follia per vivere una sua non vita in una strana e assoluta solitudine. Le lettere di Susette la consegnano alla letteratura universale per un sentimento che raramente è stato espresso con maggiore forza, semplicità, sicurezza nella verità dell'amore: «Nessuno ti amerà come io te, e nemmeno tu amerai nessuno come ami me.

Non dubitare mai dell'amore! Per Te solo per te resterà eterno».

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