Intanto Dargen D'Amico è uno che sa scrivere. Rime rap, ovvio, che spesso sono poesia. Ossimori, calembour, allitterazioni. Prendete il nuovo disco Vivere aiuta a non morire. Lui vede la realtà da un altro oblò, tipo in VV quando canta «se nessuno avesse inventato il punto interrogativo a questo mondo si starebbe tutti meglio». O punge senza diventare troppo qualunquista: «Più ti candidi, meno sei candido» (da Il presidente). Una marcia in più. Il grande pubblico lo conosce (ancora) poco. Ma nel suo ambiente è riverito come un maestro e non è un caso che nel nuovo cd cantino anche Enrico Ruggeri o Max Pezzali, insomma autori lontani anni luce dal rap. Tanto per dire, ha collaborato anche con l'elegante e fascinosa Andrea Mirò in Senza che nulla cambi. Sarà che Dargen D'Amico ha fatto la gavetta più complicata possibile, una storia che dal liceo classico Parini di Milano (compagno di scuola di Guè Pequeno dei Club Dogo, entrambi classe 1980) è passata attraverso collaborazioni con Marracash, Fabri Fibra e il meglio del meglio del nostro hip hop. O che, semplicemente, il talento non si discute, specialmente se diventa il ponte ideale tra la musica d'autore e il trampolino del rap: «Sono un cantautorap», ha detto lui una volta, spiegando tutto. Fino a ora, almeno.
Già, caro Dargen D'Amico, questo è il disco decisivo.
«Ho voluto incidere un canzoniere rap invitando i miei amici preferiti».
Da Andrea Volonté dei Fratelli Calafuria fino ad Andrea Nardinocchi.
«Sono tutti amiconi. E l'apice è stato quando Max Pezzali ha accettato di cantare per me prima ancora che glielo chiedessi».
E Ruggeri, scusi? E' la sua prima collaborazione rap.
«Mi ha detto: grazie ai tuoi versi, è la prima volta che vedo il rap totalmente all'interno della musica italiana».
Dicono che i rapper siano i nuovi cantautori.
«Ho sempre creduto ai cantautori: Dalla e Jannacci sono miei idoli assoluti. Attraverso il free style e i dj set, ho provato a mescolare la loro lezione con la mia sensibilità».
Sensibilità fotografica.
«I miei sono sempre album fotografici perché credo di scrivere per immagini. Anche gli ossimori, ad esempio, sono un modo di coniugare il lato comico e quello tragico che convivono nella realtà di tutti i giorni».
Però c'è anche la quotidianità old style. Ad esempio nel brano Bocciofili con i featuring di Fedez e Mistico. E un verso già cult: «Tiro dentro la pancia, e se mi chiedi il peso, mento: falso in bilancia».
«Mi piace l'atmosfera della bocciofila. Spesso vado in quella di via Airaghi, periferia Nord di Milano, vicino a casa di mia mamma. Chiedo un bicchiere di vino bianco e respiro quell'aria vecchio stile».
Però, Dargen D'Amico, lei fa anche il «cazzaro» ne Il ginocchio. Per di più con J Ax.
«Lui è stato il primo a darmi spazio e a credere in me. Stavolta collaboriamo anche in L'amore a modo mio, che è una sorta di brano spaghetti disco ricordando il modo di scrivere di Pino D'Angiò. In fondo proprio gli Articolo 31 di J Ax sono stati quelli che, nel brano Funky tarro, me lo hanno fatto scoprire».
Scusi ma quali sono le coordinate del suo rap?
«Quelle storiche e quelle che derivano dalla quotidianità».
Perciò il rap italiano è diverso da quello americano.
«Bisogna comunque dire che l'hip hop che arriva a noi dall'America è quello che serve a dare degli States un'immagine vincente. Loro hanno effettivamente una marcia in più, almeno in questo. E il resto del loro rap non ci arriva, o arriva attraverso canali underground».
Potenza di YouTube.
«YouTube porta tutto. E per tutto c'è un tutorial che ti insegna qualcosa. Vuoi costruire una bomba? Bene, c'è un tutorial apposta».
Ma perché ha scelto di chiamarsi Dargen?
«È l'abbreviazione di d'argento. L'ho presa da un libro game del quale mi ero innamorato: Il mistero del corvo d'argento. Mi faceva divertire talmente tanto che me ne sono innamorato».
Il richiamo della scrittura.
«Credo che sia stata la maestra delle elementari a farmi capire la mia passione. Lei ci permetteva di comporre per un'ora in libertà. Poi portava a casa i nostri quaderni e dava delle valutazioni su misura».
Tutto qui?
«No. Al liceo di mi sono innamorato di Italo Calvino. Per tre o quattro anni ho letto praticamente solo le sue opere».
Piacciano o no, le sue rime sembrano non toccare mai terra prorio come il Barone rampante.
«Direi piuttosto che questo disco è un elogio della leggerezza come si capisce nelle Lezioni americane».
Alla fine Dargen D'Amico è uno che passa
da Fabri Fibra a Calvino?«Ma tutto dipende dal disco Muse Sick-n-Hour Mess Age dei Public Enemy. Senza aver ascoltato quelle canzoni, non avrei mai capito come fare a trovare stimoli lavorando con le parole».
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