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Stragi e persecuzioni: la fuga dall'Istria raccontata da un esule

Il volume di Tito Delton ricostruisce passo per passo il dramma di migliaia di fuggitivi

Stragi e persecuzioni: la fuga dall'Istria raccontata da un esule

Durante la conferenza di Jalta, 4-11 febbraio 1945, Stalin chiarì molto bene a Churchill e Roosevelt come intendeva gestire la vittoria sul suo ex alleato nazista. Aveva tutta l'intenzione di attenersi al principio che "il possesso equivale ai nove decimi del diritto". Insomma per i sovietici e i loro sodali la corsa all'occupazione era iniziata.

E questo segnò, nelle lontanissime Istria e Dalmazia, il destino di migliaia e migliaia di italiani. Il maresciallo Tito, come da programma, accelerò il passo verso Trieste. La città era il porto fondamentale di tutta la Mitteleuropa. Solo su insistenza di Churchill il generale Alexander spedì - in ritardo - il suo sottoposto, il generale Freyberg, a prendere il controllo della città. Ma per gli italiani d'Istria e Dalmazia, abbandonati a se stessi, iniziò un lungo incubo.

È una storia difficile da narrare. Una storia che per molti versi avrebbe dovuto mettere tutti sull'avviso di cosa poteva accadere nella Ex Jugoslavia quando negli anni '90 è divampata la guerra civile. La pulizia etnica tornata tragicamente sulla scena in Bosnia era già stata praticata sugli italiani dal 1945 (con prodromi nel '43). Solo che per convenienza politica è stata messa sistematicamente sotto il tappeto, nascosta per non turbare equilibri da Guerra fredda e per le pressioni del partito comunista più forte dei Paesi occidentali.

Ma qual è il modo migliore per scoprire davvero cosa hanno passato quegli italiani prima terrorizzati - a colpi di rapimenti, uccisioni e campi di concentramento - e poi costretti a un esodo senza ritorno? Uno dei modi migliori può essere quello di seguire la tragedia attraverso l'ottica del singolo. Di una famiglia incolpevole che finisce travolta dalle onde della Storia. È quello che consente di fare 10 febbraio 1947. Fuga dall'Istria di Tito Delton (da oggi in allegato con il Giornale a 7,50 euro oltre al prezzo del quotidiano).

La prima cosa che traspare dal libro di Delton (esule che ha trovato in Torino una seconda casa) è il senso di straniamento prodotto all'inizio dal collasso delle autorità italiane. Poi all'improvviso sciama l'armata rossa jugoslava, arriva da Pola e occupa Dignano d'Istria. Mal vestiti, ma armati sino ai denti, i partigiani hanno, a differenza degli italiani, idee chiarissime. Mettono fuori corso la lira, bloccano le poste, le banche. La slavificazione è rapida e brutale, non guarda in faccia a nessuno. Anche a scuola spuntano «maestre» che parlano soltanto in serbo-croato.

Chi sotto il fascismo ha indossato una camicia nera è automaticamente un bersaglio politico. Ma nel Ventennio quanti italiani la camicia nera l'hanno indossata per forza? Non sono domande che i drusi si facciano. Tanto che scambiano per fascista anche il vecchio dandy del paese che la camicia nera la metteva solo per far contrasto con la giacca bianca. Poi c'è chi viene portato via solo perché è troppo ricco, ha troppe terre. Fascista? Poco importa, capitalista.

Ma come spiega Delton, allora solo un bimbo terrorizzato che vede portar via suo padre, e come confermano quasi tutti gli esuli, quello che contava era portare avanti l'atroce principio che massacrandone uno se ne potevano terrorizzare cento.

Il padre di Delton riesce però, miracolosamente, a fuggire dal luogo dell'interrogatorio e a riparare a Trieste, altri sono meno fortunati. Ma anche chi si salva, chi non finisce in una foiba ha una sola possibilità, darsi alla fuga verso un'Italia distrutta e attraversata da grandi tensioni politiche. E che degli esuli ha tutt'altro che voglia di occuparsi. La fuga è un macigno tremendo per gli adulti, ma è ancora più orribile per i bambini. Si deve andar via senza dare nell'occhio, senza portare quasi nulla, nemmeno un giocattolo. La famiglia di Delton fuggie portando solo delle piccole borse (finite poi sequestrate). Riescono a salvare solo l'oro di famiglia, nascosto nei vestiti, usandolo poi per avere qualcosa di cui campare.

Questo fu il destino di centinaia di migliaia di esuli. Il dettaglio può cambiare, ma il senso di sradicamento fu uguale per tutti. Ed è incancellabile, anche quando le famiglie sono riuscite a ricostruirsi una vita. Delton nell'ultima parte del volume è poi molto bravo a riconnettere la sua vicenda a quella di tutti gli altri esuli e alle tensioni su Trieste che proseguirono per tutti gli anni '50 e oltre. È un pezzo di storia che non deve più essere rimosso, anche se è scomodo.

È il minimo che si deve a tutti quegli istriani che tanto hanno lottato e tanto hanno sacrificato per restare italiani.

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