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"Crisi tecnica e assenza di imprenditorialità"

L'ex azzurro: "Federazione ferma a 50 anni fa, giocatori mediocri"

"Crisi tecnica e assenza di imprenditorialità"

Quando, ciclicamente, arrivano dalla Gran Bretagna gli inviti ad estromettere l'Italia dal Sei Nazioni, dalle nostre parti ci si guarda attorno con un sorrisetto ironico, lasciandoci scappare un «tranquilli: chi fanno entrare al nostro posto? La Georgia?...». Come se parlassimo di un paese del terzo mondo ovale. E invece quella Georgia per anni sbandierata come il paracadute per la nostra permanenza nel torneo, si è improvvisamente paventata come spauracchio azzurro, infliggendoci un'inattesa sconfitta che nei prossimi anni diventerà il nostro incubo.

Il Sei Nazioni e il mondo del rugby potrebbero anche dover fare i conti con equilibri cambiati: il 28-19 con cui i caucasici ci hanno battuto scoperchia tanti interrogativi. A cui cerca di rispondere Marcello Cuttitta, 55enne leggenda del nostro rugby, miglior metaman azzurro di tutti i tempi: «L'Italia sembra una nave che naviga a vista e perdere in Georgia è stato come andare a sbattere contro uno scoglio nella nebbia. Davanti ai detrattori che vorrebbero buttarci fuori dal Sei Nazioni non abbiamo più difese: la Georgia che da tempo si candida a un posto nel torneo non vedeva l'ora di giocare questa partita e adesso l'ha anche vinta. Chi può negarle il diritto di chiedere spazio?».

Insomma, dopo la vittoria sul Galles che ha interrotto una striscia di 36 sconfitte consecutive nel torneo, arriva un'altra brutta frenata: «Questa sconfitta - spiega Cuttitta - è ancora più pesante perché ci toglie tante certezze. Sarebbe stato meglio perdere a Cardiff e vincere qui. Certo, in teoria non rischiamo di uscire dal Sei Nazioni perché è un torneo privato e noi ne siamo azionisti, ma prima o poi qualcuno ci chiederà conto di cosa offriamo alla manifestazione in termini tecnici». La discesa verticale del rugby azzurro non finisce più? «Non voglio fare il disfattista, ma serve una seria analisi. Io vedo una crisi divisa su due fronti: da una parte abbiamo una federazione con un sistema. Serve un cambiamento in senso imprenditoriale: una federazione che fattura 50 milioni non può funzionare come 50 anni fa. Poi dobbiamo risolvere una crisi tecnica profonda, perché non formiamo allenatori e abbiamo giocatori di livello mediocre che non sanno come reagire quando una partita si mette male».

L'allarme di Cuttitta riguarda tutto il movimento: «Passato l'effetto moda, abbiamo cominciato a perdere spettatori anche alle partite degli azzurri all'Olimpico. E se pensiamo al campionato c'è da spaventarsi per il livello bassissimo. Siamo un'azienda da 50 milioni senza orientamento. Franchigie, club e campionato sono abbandonati. I Kirwan, i Campese, i Lynagh che venivano a giocare in Italia, ora andrebbero altrove, magari in Giappone come ha fatto Dan Carter. E molti azzurri sono sopravvalutati: lo stesso Capuozzo, eroe della vittoria col Galles, l'abbiamo fatto diventare un fenomeno, ma deve ancora crescere molto.

Altri invece non hanno proprio la personalità: c'è gente che, dopo aver preso 40 punti, negli spogliatoi pensava solo a fari i selfie per i social».

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