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Se lo stile Juve è un fake. C'erano una volta l'Avvocato e Umberto

Conte provocatore "professionista", Agnelli che ci casca e scorda l'eleganza dello zio e del padre

Se lo stile Juve è un fake. C'erano una volta l'Avvocato e Umberto

Innanzitutto sarebbe opportuno chiarire l'equivoco storico: lo stile Juventus è una balla inventata da qualche giornalista. Lo stile, in quanto eleganza del dire e del fare, apparteneva ai due Agnelli, Gianni e Umberto, il resto era ed è stato esattamente l'opposto. Era stile quello di Boniperti avvelenato contro tutti? Era stile quello di Montezemolo furibondo dopo le sconfitte? Era stile quello di Moggi? Dunque il comportamento dei dirigenti e dipendenti, calciatori e allenatore, non ha avuto e non ha nulla a che fare con il contegno dei due fondatori e costruttori della Juventus. Quello che è accaduto a Torino, martedì sera, rientra nella maleducazione contemporanea, in principio c'è un vaffa day il resto segue di conseguenza. Andrea Agnelli è un tifoso, con il privilegio di essere anche il presidente del club per cui prova passione forte. Ha sbagliato in modo sguaiato a rispondere all'ex allenatore Conte, qualunque fosse stato l'atteggiamento tenuto dallo stesso, già noto per le sue buone maniere a bordo campo, in ogni dove. Quelle parole non sarebbero mai state pronunciate da suo padre e da suo zio ma quella era un'altra epoca, un'altra storia ormai finita. Lo stadio vuoto fa da eco a ingiurie e minacce, durante il gioco o dalle tribune, chi si considera immune da sanzioni non si è reso conto che se esiste un Gieffe show, va in onda l'altro Gieffe (Grande Football) che smaschera le volgarità e la villania di personaggi illustri. Il linguaggio da banda della Magliana tra Ibrahimovic e Lukaku («ti sparo in testa» che altro è ?) ha trovato repliche all'Allianz con un seguito nel corridoio che porta agli spogliatoi.

Il calcio ha la presunzione di continuare a vivere come se nulla fosse e sia cambiato attorno e dentro di lui. Esiste un morboso senso di cattiveria, di odio, di aggressività, la voglia di vedere l'avversario, non sconfitto ma offeso, umiliato anzi asfaltato secondo il dizionario di moda tra gli hooligan della lingua italiana. Non so se sarà aperta un'inchiesta sui misfatti di Torino, come è stata avviata per il saloon del derby milanese, bastano comunque le immagini per comprendere il livello triviale dei partecipanti. Lo stile è un falso fragile, i rancori appartengono alle persone deboli e comunque acide, farsi il segno della croce prima di entrare in campo per poi dare del delinquente all'avversario vale una bestemmia, il calcio non è più né un'isola del tesoro né un mondo che possa evitare i codici. Si sarebbe potuto e dovuto rimediare all'increscioso episodio con le parole di scusa e di chiarimento, invece né Conte e l'Inter, né Agnelli e la Juventus, hanno ritenuto opportuno chiudere il caso. Lo hanno alimentato nuove accuse nerazzurre alle provocazioni continue dei dirigenti e dei panchinari bianconeri, così come il patetico tweet del club juventino che ha ricordato le venti finali alle quali la squadra si è qualificata, ricorrendo a una formula da lettera formale «Si segnala alla Vostra cortese attenzione...», alla quale mancava tuttavia uno «Spett.le», essendo ovviamente indirizzata a Conte Antonio.

Roba piccola di grandi club e di grandi cognomi. Per fortuna ci sono le squadre, per fortuna c'è la Juventus, per fortuna c'è l'Inter.

La storia continua, in campionato e altrove.

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