Stefania Sandrelli torna a teatro ma pensa al cinema, come regista

L’attrice è salita sui palcoscenici poche volte: «Le storie mi devono conquistare»

Ferruccio Gattuso

Il cinema l’ha chiamata per la prima volta nel 1961: in quell’anno il suo fascino fresco e conturbante la impose come «lolita» irresistibile in Divorzio all’italiana di Pietro Germi. Poco prima, era apparsa ne Il Federale di Luciano Salce e in Gioventù di notte di Mario Sequi.
Per chi comincia l’avventura del cinema a quell’età, diventa naturale considerare poi la macchina da presa e il set una confortevole casa, dove tutto si muove naturalmente: voci e suoni, ritmi e riti sono quelli che ti fanno sentire sicura. C’è da crederci, quindi, quando Stefania Sandrelli, sempre affascinante e dotata di quella voce sottile che l’ha resa un’icona sexy del cinema italiano, esterna ammissioni di insicurezza nel foyer del Teatro Manzoni, in occasione della presentazione di Un’ora e mezzo di ritardo.
La commedia brillante - scritta dai francesi (Premio Molière) Gerald Sibleyras e Jean Dell, diretta da Piero Maccarinelli - raggiunge la piazza milanese dopo una prima parte di tournée di assoluto successo. In cartellone al Manzoni fino al 5 febbraio, Un'ora e mezzo di ritardo è la scelta, particolare e rara di un’attrice che poche volte si è concessa al palcoscenico, per motivi di «libertà e rispetto»: «Libertà nella scelta delle storie, che mi devono conquistare - spiega - e rispetto per quel rapporto diretto col pubblico che è unico, e che mi fa dire, senza vergogna, di avere un sana fifa per l’esordio milanese di stasera (la pièce ha esordito ieri, ndr). Milano è una città che io definisco affettuosa, con me lo è sempre stata. E mi rendo conto di come uno spettacolo piccolo, senza cambi di scena come questo possa essere una sfida per una platea abituata ai ricchi allestimenti. La forza di questa commedia è però nel testo, è un teatro di situazioni più che psicologico. E per di più dura esattamente come recita il titolo, in tempo reale, un’ora e mezzo».
La storia è quella di una coppia di coniugi - Giuliana e Vittorio (Luciano Virgilio, arruolato sul filo di lana, a 2 giorni dal debutto, col difficile compito di sostituire Massimo De Francovich, per ragioni di salute) - pronti per recarsi a un’importante cena d’affari. Giuliana improvvisamente perde la voglia di uscire, decide di affrontare uno scomodo ma forse salutare (catartico?) discorso col marito. Il ritardo alla cena - costruito su un dialogo efficace e raffinato - scorrerà sul filo dei colpi di scena.
Dopo il grande successo in Francia dello scorso settembre (al Théâtre des Mathurins di Parigi lo spettacolo diretto da Bernard Murat ha raccolto enormi consensi), Un'ora e mezzo di ritardo approda in Italia con lo sponsor prestigioso di Stefania Sandrelli, che al teatro si era dedicata per la prima volta nel 1992, con Le faremo tanto male, poi portato sullo schermo, e che sul palcoscenico è tornata rare volte (recentemente per una lettura di Antonio Tabucchi).
«Mi ha convinto la storia, non il mio personaggio - ci tiene a precisare l’'attrice -. Spesso si ritiene quest’ultima la scelta numero uno, io invece devo sentire che tutto funzioni. Per me il teatro è ordine, un meccanismo che scorre alla perfezione, forse è una visione idealistica, ma che mi piace. E, come no, il teatro è anche quel caos, quello della tournée, che mi sconvolge ma mi diverte, anche se non per periodi lunghi. Ormai sono una signora - sorride - e ho da portarmi dietro capellini, trucchi e qualche pastiglia». Tra le righe, anche l’ovvia ammissione che il cinema continua a chiamarla, a pretendere il suo volto sullo schermo e, sembra proprio così, anche dietro la macchina da presa: «A breve, con Canale 5 io e mia figlia Amanda saremo coinvolte in una fiction dal titolo Azione civile. Ma ciò per cui fremo è un progetto che mi vedrà regista, per un film destinato al grande schermo. Un film che voglio fare da tempo, una storia che viene da lontano e cui spero di potermi dedicare anche se, come regista, non valgo un soldo bucato e non ho certo intenzione di farne la mia professione».

Si tratta de L'ultima strega, storia vera di una scrittrice, Cristina Da Pizzano, che nel Trecento viveva alla corte di Carlo V. «Una storia ricca d’ironia, nata dallo straordinario interesse per un libro letto tre anni fa, ricevuto in regalo a Natale».

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