Il Sud di Bottura piatto dell’anno

nostro inviato a

San Sebastian
Mejor de la Gastronomia edizione numero sette, da Massimo Bottura a Massimo Bottura, dal patron a Modena della Francescana che lunedì scorso vince il premio internazionale per il miglior piatto all’olio extra vergine di oliva allo stesso cuoco che giovedì sera si ritrova tra i protagonisti del gran finale quando il congresso di cucina creativa più importante al mondo rende omaggio al francese Joël Robuchon e sul palco alla fine si ritrovano anche il catalano Ferran Adrià, Fulvio Pierangelini e chi aveva affiancato quest’ultimo nella celebrazione di un suo piatto-bandiera, la Cappasanta con mortadella, ovvero il basco Andoni, lo svedese Petter Nilsson e per l’appunto Bottura.
Quattro giorni di lezioni e cerimonie, esibizioni e degustazioni, con il confronto continuo tra chi crede che la tecnica sia amica del cuoco, per esemplificazione Adrià, e chi, come Pierangelini, la vede il più delle volte come una scorciatoia per arrivare a risultati ottenibili anche con le proprie mani, faticando però di più sia con il cervello che con gli arti. Ha detto il titolare del Gambero Rosso di San Vincenzo: «Alcuni studi che gli scienziati hanno fatto in questi anni hanno permesso ai cuochi di spiegare alcune cose. Ma ci sono cose che fanno i cuochi che gli scienziati non sono ancora in grado di spiegare». Ed è verissimo per la semplice constatazione che sovente a fisici e chimici sfugge la golosità dell’argomento, cosa che a volte succede però anche a quegli chef che si allontanano troppo dalle padelle roventi. Perfetto una volta ancora Fulvio: «Io sono un cuoco e sto in cucina». E a pensarci bene è all’apparenza una frase di una banalità tremenda, ma ha valore perché da qualche anno non è affatto detto sia così.
E allora eventi come questo nei Paesi Baschi diventano anche un laboratorio di idee e di sfide, con Bottura a misurarsi sul tema dell’olio extra vergine d’oliva e rimanere di sale all’ingresso nel centro congressi che ha accolto l’intero evento: «C’era chi si era presentato portando di tutto, dall’azoto ai macchinari più incredibili, mi sono sentito un tapino con i miei ingredienti italianissimi». Tra l’altro il suo piatto, dal nome secco di Sud, è stato insidiato solo dal piccione di Niko Romito del Reale di Rivisondoli (L’Aquila).
Questo dato dà corpo al confronto montante tra Spagna e Italia, tra cucina “fredda” e cucina “calda”, tra cugini che attraversano un momento di riflessione e noi più baldanzosi, anche in maniera a volte gratuita perché a livello di professionalità e di conoscenze gli spagnoli, per non parlare dei francesi, restano su un altro pianeta. La tendenza tricolore alla faciloneria è emersa a tratti anche a San Sebastian, dove non basta preparare un piatto, anche eccelso, per convincere, bisogna anche sapere spiegare i perché racchiusi in esso.
Bottura ha stregato perché ha capito che l’olio non andava considerato un condimento né un qualcosa in cui annegare pesce o carne. L’olio come ingrediente in un insieme che vede le varie materie prime sparire per fondersi in una preparazione armonicamente compiuta, l’esempio della maionese è perfetto. Sud, come sarà ad esempio al ristorante, è l’omaggio di un emiliano a Calabria (l’olio, ma in Spagna Massimo ha dovuto usare olio di Jaén), Sicilia (ad esempio le olive pizzute lavorate da Corrado Assenza) e Basilicata, ma pure un tributo a due suoi colleghi: al Gualtiero Marchesi del Raviolo Aperto e al Massimiliano Alajmo che appoggia il suo risotto sul caffè e poi gli versa sopra i capperi in un mix di assoluta originalità. Ha spiegato il modenese: «L’olio andava interpretato e nascosto, doveva essere ovunque senza che lo si notasse». E lui vi è riuscito e la foto spiega la complessità dell’esecuzione con una pellicola di caffè espresso, un biscotto di mandorle, una polvere di cacao forte di 6 tuorli e 6 albumi, tre etti di cioccolato fuso, 30 grammi di cacao, 30 di farina e 40 di burro, una cialda di mandorle di Noto, cioccolato e riso essiccato, infine una mousse di cioccolato bianco e pasta di olive con un cappero solitario nell’angolo del piatto di servizio.
Complessità a monte ed essenzialità all’atto finale anche se, in generale sia chiaro, a furia di togliere elementi dal piatto, tra un paio di anni qualcuno servirà una fondina vuota, pardon piena di Aria di montagna in ristretto di nuvole con scaglie di stelle comete. Titolo del piatto? Il Piccolo Principe. Quel giorno imploreremo i francesi di tornare ad ammazzarci di burro, panna e creme. Anche perché, sempre a San Sebastian, l’americano Homaro Cantu, del Moto di Chicago, ha presentato un hamburger in perfetto stile McDonald’s, ma non un panino fatto e finito, ma stampato su carta commestibile, con tanto di profumo addizionato all’ostia grazie a un computer e a una stampante al laser. Mangi un fax, si è detto, però non è più cucina né un’ironica parodia.
E mentre in Spagna hanno applaudito le due stelle Michelin di Andoni e le tre di Carme Ruscalleda (che così raggiunge Nadia Santini e Luisa Valazza nel ristrettissimo club delle cuoche tristellate), sta per finire in Italia il conto alla rovescia per la presentazione dell’edizione verde, bianca e rossa. La guida del mezzo secolo (la prima uscì nel 1956 e si fermava a Siena) è destinata a lasciare il segno. A livello di due e di tre stelle non dovrebbero esserci bocciature per una precisa scelta della casa automobilistica, animata a quanto pare dall’intenzione di omaggiare il genio culinario italiano con un elenco record di grandi ristoranti.

Sarebbero almeno quattro le promozioni, con la Francescana di Bottura a Modena e il Duomo di Ciccio Sultano a Ragusa Ibla che salirebbero da una a due «macarons» per dirla come i nostri cugini, e con altre due insegne che balzerebbero nell’olimpo dei tre: Cracco-Peck di Carlo Cracco a Milano e La Pergola di Heinz Beck a Roma, cosa che farebbe parlare di un trionfo di «Cracco-Beck».

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