Sui principi non si tratta

Tutto ciò che so del nostro nuovo presidente della Repubblica l'ho appreso dagli articoli di questi giorni. Con i comunisti in generale, però, non potevo non avere rapporti continui nella carriera universitaria, sicché sulla loro psicologia penso di poter dire qualcosa.
Anzitutto non deve meravigliare il comunista aristocratico. Prima dei Berlinguer si pensi a Negarville, o a Umberto Terracini. L'aristocrazia è privilegio, e nessun regime ha difeso il privilegio così strenuamente come il regime sovietico. In secondo luogo non deve meravigliare il comunista per bene, tanto più quando non è un opportunista. Qualcuno, un tempo, pensava che il comunismo fosse buono in teoria, ma male applicato. È vero il contrario: il comunismo è perverso come teoria sociale (adatto mirabilmente agli insetti), ma ho conosciuto più di un comunista convinto che, a prescindere dalla teoria, teneva una condotta esemplare.
Si rimprovera a Napolitano di non essersi dissociato dall'Urss dopo i fatti d'Ungheria: ma è ovvio che un comunista autentico non trovasse nulla da ridire sulla repressione della rivolta ungherese. È vero che molti si dissociarono, ma erano già socialdemocratici che si eran creduti comunisti. Un problema fu, piuttosto, la primavera di Praga.
Pur come «anticomunista viscerale», ho dovuto trattare spesso con colleghi comunisti nei concorsi universitari: ho sempre potuto fidarmi. Basta trattare senza ipocrisie, e da posizioni di forza (precisamente come sta facendo la Cdl). Per ragioni tecniche mi accadde più di una volta, in commissione di concorso, di votare come Geymonat. O lui come me. Eppure Geymonat era un comunista autentico e convinto. Da ultimo presentai a Sanremo, con altri liberali, un suo libro su La libertà. (Ma, forse, era stato scritto sotto l'influsso della sua seconda moglie: una francese autorevole e autoritaria).
Un altro comunista con cui lavorai gomito a gomito per otto anni al Consiglio Nazionale delle Ricerche è Paolo Rossi Monti. Non vi fu mai tra noi la minima divergenza, anche quando mi accadde di distribuire in sua assenza i fondi che riguardavano le sue discipline. In compenso fui accusato di «compromesso storico» da un altro collega, perché entravo in trattative con Asor Rosa (l’ho rivisto in fotografia, dopo tanti anni, in occasione delle elezioni presidenziali). Non era vero: il compromesso era «storico» perché era una resa sui princìpi: il nostro era pragmatico, perché riguardava fondi da distribuire.


Perché questo discorso? Per dire che sono ottimista sul nuovo settennato; benché non sia nato da un accordo. Anzi, appunto per questo. Personalità come Napolitano e Berlusconi non sono disponibili a cedere sui princìpi, ma sono adatte a trattare su fatti concreti.

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